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“«Il giudice ragazzino» più vicino agli altari”

13 Settembre 2018 - Autore: Alleanza Cattolica

Da Avvenire del 7/09/2018. Foto da acistampa

Il prossimo 3 ottobre, giorno in cui avrebbe compiuto, se fosse stato ancora in vita, sessantasei anni, si terrà, a porte aperte, l’ultima sessione della fase diocesana del processo di beatificazione del giudice Rosario Angelo Livatino. A darne l’annuncio, nel corso di una conferenza stampa, l’arcivescovo di Agrigento, il cardinale Francesco Montenegro, assieme al giudice delegato che ha condotto tutto il processo a nome dell’arcivescovo, don Lillo Maria Argento ed il postulatore della causa di canonizzazione, don Giuseppe Livatino.

«Rosario Livatino – ha ricordato il cardinale Montenegro nel suo intervento iniziale – è la figura di un professionista colto ed estremamente consapevole. Credente convinto e praticante. La sua fede ha dato forma al suo servizio professionale. Stando alla sentenza – ha proseguito Montenegro – Livatino è stato ucciso perché perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l’espansione della mafia».

La fase diocesana del processo di beatificazione del giudice Rosario Angelo Livatino ha avuto inizio il 21 settembre 2011, giorno del ventunesimo anniversario del suo omicidio. Una prima seduta, anch’essa pubblica, in cui molti pensavano di conoscere già la figura del giudice del tribunale di Agrigento ma che, invece, come ha ribadito il postulatore, don Giuseppe Livatino nel corso della conferenza stampa, è emersa davvero solo con la escussione dei testi di questo processo. «Il ritratto che viene fuori dall’ascolto dei testimoni e dalla lettura delle sue agende – ha detto il postulatore – è un ritratto quasi a tutto tondo. Non amava parlare di sé Rosario, ma non amava neanche far parlare di sé quindi, per noi, il lavoro è stato abbastanza complesso. Molti dei testimoni poi avevano già lasciato la magistratura ed altri, purtroppo non erano in condizione di poter dare il loro contributo. Però, nel corso del processo, è emersa la figura di Rosario. Quella di un magistrato integerrimo, cultore determinato del segreto istruttorio, che aveva molto rispetto per l’umanità e la dignità non solo di chi collaborava con lui ma anche nei confrontidegliimputati».Dal racconto del postulatore viene fuori la figura di un uomo a tutto tondo con le paure di un giovane dei suoi tempi che riesce a vincerle attraverso la sua profonda fede. «In tutta la sua vita – ha proseguito don Livatino – Rosario non conosce mai la parola “rinuncia” o “sacrificio” ma sempre quella di “scelta”. Compiuta la scelta questa doveva essere finalizzataal fare il bene degli altri».Questo il tratto distintivo, che emerge dalle carte processuali della vita e della dimensione umana di Rosario Livatino: fare il bene degli altri. Quattromila pagine, quarantacinque testimoni, sono questi i numeri del processo che ha visto tra i suoi protagonisti anche uno dei killer di Livatino. Gaetano Puzzangaro, uno dei cinque uomini del commando che, in una calda mattinata di settembre, quasi per gioco e per il “prestigio”che ne sarebbe derivato, uccisero brutalmente e senza alcuna pietà il magistrato, ha dato la sua testimonianza nel processo di canonizzazione dell’uomo che lui stesso ha ucciso.

«La figura del giudice Livatino – ha detto il giudice delegato, don Lillo Maria Argento – è quella di una persona bella ma complessa, in un certo qual modo osteggiata, forse per lo stesso ruolo di giudice che svolgeva. Ha seguito fino in fondo la giustizia, l’ha seguita con amore alla luce del Vangelo».

«Ho la gioia nel cuore – ha detto in conclusione l’arcivescovo di Agrigento Montenegro dando appuntamento ai presenti al prossimo 3 ottobre – perché il cammino che si è fatto oggi, sta portando i suoi frutti».

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