di Pierluigi Grassi
Il 26 marzo 2017 è caduto il 50° anniversario della lettera enciclica Populorum progressio, pubblicata dal beato Papa Paolo VI (1897-1978) nel giorno di Pasqua del 1967, l’unica dedicata dal Pontefice alla questione economica e sociale.
Le riflessioni che portarono Papa Montini alla stesura di quel testo maturano nei suoi viaggi (come egli esplicita al n. 4): in America Latina (1960) e in Africa (1962), prima del pontificato, e, da Pontefice, in Terra Santa e in India (1964). L’intenzione che lo anima, espressa il 4 ottobre 1965 in un discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, è quella di farsi «[…] voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia».
L’appello di Paolo VI è rivolto ai leader dei Paesi sviluppati affinché intraprenda azioni urgenti e concrete per superare lo scandalo del sottosviluppo che affligge il Terzo Mondo. Denunciando il male dello «squilibrio crescente» (Populorum progressio, n. 8), il Pontefice suggerisce linee di azione precise quali l’attenzione ai criteri dell’equità e della giustizia nello scambio economico con i Paesi più poveri (cfr. nn. 56-65), l’istituzione di un fondo mondiale contro la povertà (cfr. n. 51), la promozione dell’alfabetizzazione e della famiglia (cfr. nn.35-36). Al contempo, in un momento storico particolarmente turbolento, il Papa condanna la facile «tentazione della violenza» (n. 30) e dell’insurrezione rivoluzionaria, ricordando che «non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande» (n. 31).
Il magistero che Paolo VI dona alla Chiesa Cattolica con questa enciclica è dunque ampio e prezioso. Uno dei lasciti più significativi del documento sta certamente nel concetto di sviluppo integrale: il movimento organico degli uomini e della società teso non solamente alla crescita economica, ma «[…] alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (n. 14) per l’affrancamento dalla miseria, dall’ignoranza e dall’oppressione, onde riconoscersi in libertà e pienezza realmente figli di Dio (cfr. 1 Gv 3, 1), che in sostanza è la spinta a «[…] fare conoscere e avere di più, per essere di più» (Populorum progressio, n. 6). Infatti, «[…] ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione» e «[…] un insieme di attitudini e di qualità da far fruttificare» (n. 15). Lo sviluppo inteso in tal senso è anche un esercizio della virtù di giustizia verso Dio: «Come tutta intera la creazione è ordinata al suo Creatore, la creatura spirituale è tenuta ad orientare spontaneamente la sua vita verso Dio” mediante l’inserzione nel “Cristo vivificatore […] che gli conferisce la sua più grande pienezza” (n. 16).
Il tema dello sviluppo integrale si è rivelato centrale alla Dottrina Sociale della Chiesa elaborata successivamente. Nell’enciclica Caritas in Veritate, del 2009, Papa Benedetto XVI dedica ampio spazio al ricordo della Populorum progressio, definita «la Rerum Novarum dell’epoca contemporanea» (n. 8). Il Pontefice Emerito s’interrogava in quella sede sul modello di sviluppo del mondo contemporaneo alla luce delle aspettative e delle indicazioni date dal beato Paolo VI: se da un lato il progresso economico ha effettivamente coinvolto anche i Paesi un tempo più poveri, sottraendo alla miseria milioni di persone, dall’altro il mondo contemporaneo deve fare i conti con il fenomeno della globalizzazione, che può essere veicolo di sviluppo integrale nella misura in cui serve la giustizia e il bene comune, favorendo «[…] un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza» (n. 42).
Papa Francesco ha invece testimoniato l’attualità dell’insegnamento della Populorum progressio istituendo lo scorso anno, con il motu proprio Humanam progressionem, un “Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale” nel quale sono confluiti diversi organi pontifici dedicati alle questioni sociali. Proprio in occasione di un recente convegno dedicato alla Populorum progressio, Francesco ha ripreso l’insegnamento del beato Paolo VI ricordando che «l’economia, la finanza, il lavoro, la cultura, la vita familiare, la religione sono, ciascuno nel suo specifico, un momento irrinunciabile» dello sviluppo dei popoli: «nessuno di essi si può assolutizzare e nessuno di essi può essere escluso da una concezione di sviluppo umano integrale». E il Pontefice riassume efficacemente l’idea con l’immagine di «un’orchestra che suona bene se i diversi strumenti […] seguono uno spartito condiviso da tutti».