« Se sapete che egli è giusto, sappiate anche che chiunque opera la giustizia, è stato generato da lui. Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro. Chiunque commette il peccato, commette anche l’iniquità, perché il peccato è l’iniquità. Voi sapete che egli si manifestò per togliere i peccati e che in lui non vi è peccato. Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non l’ha visto né l’ha conosciuto » (1Gv 2,29-3,6)
Diventare Dio non è un assurdo: « Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi [Sal 81,6]? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata -, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? » (Gv 10,34-36). Che cosa ci ha dunque portato Gesù di nuovo e straordinario? Ci ha portato Dio! Non però un Dio lontano e astratto come un “ideale” da costruire, ma un Dio vicino, talmente vicino che, se crediamo in lui, ci viene dato «potere di diventare figli di Dio » (Gv 1,12). Non però “figli di Dio” per metafora, come tante volte gli uomini hanno immaginato, ma in modo reale. Il fatto che possiamo “diventarlo”, ci autorizza a parlare di “figli adottivi” rispetto a lui che era già Figlio prima ancora di nascere. Con una differenza però: mentre nelle vicende umane il figlio adottivo rimane irrimediabilmente diverso dai genitori, perché nelle sue vene non scorre il loro sangue, qui l’evento va preso con assoluto realismo: « Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! » (1Gv 3,1). I Padri della Chiesa non hanno perciò temuto di usare una parola molto impegnativa: “divinizzazione”. Per loro lo scopo della vita del cristiano è di essere realmente divinizzato e questo è il grande dono che ci ha portato Gesù. Non c’è qui però il rischio di dimenticare la differenza tra Creatore e creatura e quindi di cadere in un grossolano panteismo? Il rischio c’è, come in tutte le cose belle, ma uno sguardo più approfondito al mistero della Trinità è sufficiente a fugarlo: «Per accostarsi a quel mistero dell’unione con Dio, che i padri greci chiamavano divinizzazione dell’uomo, e per cogliere con precisione le modalità secondo cui essa si compie, occorre tenere presente anzitutto che l’uomo è essenzialmente creatura e tale rimane in eterno, cosicché non sarà mai possibile un assorbimento dell’io umano nell’io divino, neanche nei più alti stati di grazia. Si deve però riconoscere che la persona umana è creata “ad immagine e somiglianza” di Dio, e l’archetipo di questa immagine è il Figlio di Dio, nel quale e per il quale siamo stati creati (cfr. Col 1,16). Ora questo archetipo ci svela il più grande e il più bel mistero cristiano: il Figlio è dall’eternità “altro” rispetto al Padre e tuttavia, nello Spirito santo, è “della stessa sostanza”; di conseguenza, il fatto che ci sia un’alterità non è un male, ma piuttosto il massimo dei beni. C’è alterità in Dio stesso, che è una sola natura in tre persone, e c’è alterità tra Dio e la creatura, che sono per natura differenti. Infine, nella santa eucaristia, come anche negli altri sacramenti – e analogamente nelle sue opere e nelle sue parole – Cristo ci dona se stesso e ci rende partecipi della sua natura divina, senza per altro sopprimere la nostra natura creata, alla quale egli stesso partecipa con la sua incarnazione » (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana – Orationis formas del 15 ottobre 1989, n. 14). Diventare Dio in senso panteistico, cioè “costituendo con lui un’identità assoluta” vorrebbe dire smettere di essere sé stessi… Vorrebbe dire, letteralmente, “sprofondare nel nulla” e questo certamente non è né buono, né desiderabile. La via che Gesù ci propone è ben diversa: è quella dell’amore. Nell’amore infatti i due amanti si fondono, ma rimanendo ciascuno diverso dall’altro… La diversità è anzi l’indispensabile presupposto e la bellezza stessa dell’amore. « [Con il peccato] l’uomo ha preferito se stesso a Dio, e, perciò, ha disprezzato Dio: ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione di creatura e conseguentemente contro il suo proprio bene. Costituito in uno stato di santità, l’uomo era destinato ad essere pienamente “divinizzato” da Dio nella gloria. Sedotto dal diavolo, ha voluto diventare “come Dio”, [cfr. Gen 3,5] ma “senza Dio e anteponendosi a Dio, non secondo Dio” [San Massimo il Confessore, Ambiguorum liber: PG 91, 1156C] » (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 398). « Per mezzo della potenza dello Spirito Santo, noi prendiamo parte alla Passione di Cristo morendo al peccato, e alla sua Risurrezione nascendo a una vita nuova; siamo le membra del suo Corpo che è la Chiesa [cfr. 1Cor 12], i tralci innestati sulla Vite che è lui stesso [cfr. Gv 15,1-4]. Per mezzo dello Spirito, tutti noi siamo detti partecipi di Dio. […] Entriamo a far parte della natura divina mediante la partecipazione allo Spirito […]. Ecco perché lo Spirito divinizza coloro nei quali si fa presente [Sant’Atanasio di Alessandria, Epistulae ad Serapionem, 1, 24: PG 26, 585B] » (Ibid., n. 1988). Accogliamo la vita di Gesù che ci trasforma; lasciamoci coraggiosamente trasformare in Lui da Lui.