« Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio” » (Lc 10,1-9)
La fase iniziale dell’addestramento dei dodici è ora finita. Il primo compito degli Apostoli era di “essere con lui” (Mc 3,14), il secondo quello di essere inviati, come suoi rappresentanti, per compiere l’opera da lui iniziata. Sono stati con lui per un certo tempo e sono stati testimoni del modo con cui ha risposto alle opposizioni, del suo insegnamento mediante parabole e dei miracoli da lui operati. Ora ricevono il comando di andare e di fare le stesse cose. Non facciamo fatica ad immaginare quanto dovettero essere stupiti e spaventati per un compito così immane e sproporzionato alle loro forze. L’espressione « prese a mandarli a due a due » suggerisce che Gesù non li inviò tutti d’un botto, ma nella misura in cui li giudicava preparati. Li manda a due a due, come piccolissimi nuclei di comunità cristiana, perché dovevano diffondere non una dottrina, ma la partecipazione ad un vita comunitaria a cui era connessa anche una dottrina. Qui vediamo con chiarezza quanto la verità cristiana sia diversa da una filosofia modernamente intesa. Il suo luogo proprio non è la mente di un individuo, ma le convinzioni di una comunità, di un popolo. Una Tradizione si trasmette in una comunità. Gesù è venuta a dar vita ad un “nuovo” popolo di Dio, cioè a rinnovare il Popolo di Israele, riportandolo alla sua nativa vocazione universalistica. Il nuovo popolo è destinato a diventare una Famiglia di Popoli. La legge dell’ospitalità, molto sentita dal popolo di Israele, che non aveva ancora dimenticato le sue origini beduine, di popolo del deserto, faceva sì che venissero accolti in una famiglia. Quella doveva diventare la loro base d’azione, come succedeva per Gesù, evitando di andare da una casa all’altra, perché questo avrebbe suscitato inevitabilmente invidie e mescolato ragioni umane alla guida della Provvidenza di Dio, cioè del suo Santo Spirito. Il cuore del messaggio è la fiducia, la fede nel mandato. Perché i discepoli inviati sono settantadue? Il riferimento evidente (se uno conosce bene le scritture) è alla “tavola dei popoli” che è contenuta nel capitolo 10 del libro del Genesi. Lì viene steso un elenco di tutti i popoli della terra secondo la loro discendenza dai figli di Noè: Sem, Cam e Iafet. Se contiamo il loro numero seguendo il testo ebraico troviamo che sono settanta, ma se ci poniamo davanti il testo greco della traduzione dei LXX (la prima traduzione di un libro della storia dell’umanità, portata a termine due secoli prima della venuta di Gesù) i popoli diventano settantadue e Luca utilizza proprio il testo dei LXX. Il senso è evidente: l’evangelizzazione è rivolta a tutti i popoli della terra. Molti oggi, spaventati da quanto succede (ma è uno spavento che ha preso gli uomini anche in altri periodi della storia: per esempio alla caduta dell’impero romano) si chiedono se siamo arrivati alla fine del mondo. Come facciamo noi oggi a dire che non ci troviamo davanti alla fine del mondo? Ci sono dei segni che ci autorizzano a pensarlo? La seconda venuta di Cristo, la parousìa, ci sarà solo quando il Vangelo sarà stato annunciato a tutti i popoli: « Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine » (Mt 24,14). « […] secondo la sua profezia, prima del suo ritorno, Cristo dovrà essere pubblicamente noto in tutto il mondo, così che alla sua seconda venuta non ci sia più nessun grande nucleo di uomini il quale possa sostenere di non conoscerlo » (Michael Schmaus, I novissimi del mondo e della Chiesa, trad. it., Paoline, Alba 1969, p. 196). Bisogna far attenzione però a non ridurre i “popoli” ad una semplice aggregazione numericamente significativa e l’annuncio alla pura comunicazione di un’informazione. « Missione deve intendersi […] non soltanto come l’annuncio della parola agli individui di tutte le nazioni ma anche come evangelizzazione delle culture rappresentate dalle élites di queste nazioni, in modo che il messaggio cristiano si esprima attraverso le diverse strutture etniche » (Jean Daniélou, Saggio sul mistero della storia, trad. it., Morcelliana, Brescia 1957, p. 21). Quali sono le grandi culture a cui il Vangelo è stato annunciato in questo modo non superficiale? La Grecia, Roma, il mondo germanico, celta e slavo. La missione africana è tutt’ora in corso e stiamo assistendo alla nascita di una Cristianità africana. Ma grosse e poderose culture sono ancora davanti a noi: la cultura islamica, la molteplice cultura dell’India, la cultura cinese. Sono ancora sfide e compiti aperti. Non dobbiamo spaventarci se ci fidiamo non delle nostre capacità ma della potenza del Vangelo che siamo chiamati ad annunciare!