« Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”. Ed egli rispose loro: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”. E diceva loro: “Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte” » (Mc 7,1-13)
Subito dopo il miracolo con cui Gesù dà da mangiare a cinquemila uomini, nel deserto, con cinque pani e due pesci (Mc 6,35-44), abbiamo una ripresa della discussione con Farisei e Scribi sul significato dell’obbedienza alla legge. Mentre la prima discussione (Mc 2,1-3,6; 3,21-30) offre l’occasione di precisare meglio l’identità di Gesù e il senso della sua missione, quest’altra discussione (Mc 7,1-23) svela la trasformazione profonda che è venuto a portare nell’Alleanza di Dio con gli uomini e della loro relazione con Lui. Il punto di partenza è costituito dal fatto che i discepoli di Gesù prendono il pane senza lavarsi le mani. Forse questo ha un riferimento concreto con il fatto che poco prima, nel deserto, quindi in un luogo dove il lavarsi le mani era impossibile, cinquemila uomini (con le loro famiglie) avevano mangiato. La “purezza” di cui si parla non riguarda l’igiene, ma è una purità cultuale. La legge di Mosé aveva prescritto una purezza cultuale per i sacerdoti che non dovevano offrire sacrifici, senza essersi lavati mani e piedi (Es 30,17-21) e per coloro che mangiavano di quanto veniva offerto (Nm 18,11-13). La prassi dei dottori aveva esteso questa purità ad ogni pasto, che era sempre considerato come un culto a Dio e quindi riguardava non solo i sacerdoti, ma ogni pio israelita. Questa impurità si poteva trasmettere agli altri e implicava una grande attenzione nel rapporto con gli altri. Dato che non tutti rispettavano queste tradizioni, coloro che cadevano in questa “impurità” venivano disprezzati e considerati maledetti da Dio (cfr. Gv 7,49). Gesù non entra nella discussione talmudica (la Mishnah e il Talmud non troveranno una forma scritta se non circa sei secoli dopo, ma erano già abbastanza presenti nell’insegnamento orale), in cui avrebbe avuto degli ottimi argomenti per dimostrare che i suoi discepoli praticavano delle eccezioni assolutamente consentite, ma porta il dibattito ad un altro livello. Cambia il “paradigma”, mettendo in discussione non la pratica in quanto tale, ma il modo con cui il legalismo dei Farisei la interpretava e la applicava. Apostrofa i farisei come “ipocriti” (ὑποκριτής: “attore da palcoscenico”, “teatrante”). Cita il profeta Isaia (nella traduzione greca detta dei Settanta) in un contesto in cui viene messa in discussione la religiosità degli Israeliti: « […] questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani » (Is 29,13). La cosa veramente interessante è però che, nonostante questa constatazione, l’oracolo di Isaia non è una minaccia, ma una promessa: « D’ora in poi Giacobbe non dovrà più arrossire, il suo viso non impallidirà più, poiché vedendo i suoi figli l’opera delle mie mani tra loro, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe e temeranno il Dio d’Israele. Gli spiriti traviati apprenderanno la sapienza, quelli che mormorano impareranno la lezione » (22-24). Citando questo passo di Isaia Gesù in realtà proclama in modo velato che la promessa è proprio sul punto di realizzarsi. Per rendere il suo insegnamento ancora più comprensibile, Gesù aggiunge alla parola del profeta un esempio concreto. Dice loro infatti: « Non siete forse astuti nel mettere da parte il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione? ». Se voi avete fatto il voto di offrire al tempio il vostro denaro, dichiarandolo “korbàn” (קָרְבָּן: offerto a Dio), affermate che non lo potete più usare per soccorrere i vostri genitori anche se sono nel bisogno. In questo modo la vostra “devozione” umana annulla il comandamento di Dio. Potrebbe sembrare che qui Gesù condanni le “tradizioni” o la “religiosità” o la “devozione” e spesso le sue parole sono state utilizzate a questo scopo. In realtà Gesù richiama un ordine e una gerarchia che sono qui dimenticati. A Dio interessa un rapporto intimo con lui fondato sull’amore, che è l’anima e la forma intrinseca di ogni atto virtuoso. Qualunque tradizione umana, qualunque espressione di religiosità o di devozione è buona nella misura in cui serve per esprimere questa sostanza, è cattiva quando diventa il pretesto per dimenticare l’essenziale. Prendiamo esempi concreti che possono parlare a noi: se un figlio dice di non avere il tempo di occuparsi dei genitori malati perché è troppo impegnato a servire la Parrocchia e le attività del Parroco; se una moglie trascura il marito e i figli, perché deve dire tanti rosari per le anime del Purgatorio; se un marito non lavora e non mantiene la famiglia perché è troppo impegnato a lottare per la pace nel mondo… Tutti costoro mettono da parte il comandamento dell’amore, perché il loro tempo è ormai “korbàn”… « Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle » (Mt 23,23). Crediamo veramente o crediamo di credere?