« Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”. Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”. Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui » (Gv 2,1-11)
L’episodio delle nozze di Cana si è fatto ancora più presente nella preghiera e quindi nella vita dei cristiani attraverso il secondo dei “misteri della luce”, che – in conseguenza della lettera apostolica di Giovanni Paolo II Rosarium Virginis Mariæ del 16 ottobre 2002 – sono venuti provvidenzialmente ad integrare la tradizionale devozione del Rosario mariano. Si tratta infatti di un episodio (mistero) molto importante della vita di Gesù: è il primo dei suoi miracoli. I miracoli costituiscono un fondamentale segno di credibilità dell’evento cristiano. Se, utilizzando solo gli strumenti del metodo storico-critico, non siamo in grado di dimostrare la storicità di alcuni miracoli presi singolarmente, il fatto dei miracoli nel loro insieme, come componente essenziale della vita di Gesù di Nazaret è assolutamente innegabile anche da un punto di vista soltanto storico. Nell’antichità ci sono racconti che parlano di “facitori di miracoli” (per es. Apollonio di Tiana, Honi il disegnatore di cerchi e Hanina ben-Dosa), ma sono tutti posteriori di secoli rispetto agli eventi che intendono raccontare, mentre la narrazione evangelica è troppo vicina ai fatti. Nessun autore antico, anche ostile, ha mai contestato i miracoli di Gesù. Qui il testo greco dice letteralmente: « Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea » (v. 11). Il miracolo è dunque un “segno”. È un segno della venuta del Regno di Dio, dell’irruzione di Dio nella storia. Un’irruzione che si realizza in Gesù – il Regno in persona – e a partire da lui. Ma il miracolo è segno anche perché “significa” sempre qualcosa, non è mai un segnale di potenza fine a sé stesso. A volte questo cercare (e trovare… ) significati reconditi nelle azioni – soprattutto nelle azioni miracolose – di Gesù può suscitare l’impressione che li si tratti alla stregua narrazioni fittizie, fabbricate dall’uomo (come se qualunque significato non potesse venire che dall’uomo…). Si tratta invece del risultato “scontato” di un’azione di Dio nella storia. Dio è Verità, è Sapienza, è Significato (è Logos), perché è l’origine e la fonte di ogni verità, di ogni sapienza e di ogni significato. Se dunque Dio interviene – se “interferisce” nel nostro mondo – non possiamo non trovarci davanti a questo “effetto collaterale”. E questo tanto più massicciamente, quanto più diretto ed immediato è il suo intervento. Ci dovremmo piuttosto meravigliare del contrario… L’oggettività di questo fatto diventa ancora più evidente se consideriamo che spesso diventa veramente difficile attribuire all’estensore del racconto la consapevolezza di tutti i significati che pure vi si riscontrano. « Se Giovanni abbia pensato a simili retroscena, è cosa più che dubbia » non esita a dire Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, proprio a proposito di alcuni aspetti simbolici – secondari, ma non arbitrari – del racconto delle nozze di Cana (Gesù di Nazaret, p. 296). San Giovanni pone il miracolo delle nozze di Cana all’inizio del suo Vangelo e nota che « fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù ». L’inizio di una realtà non è solo un fatto cronologico, ma ne stabilisce il modello. In questo miracolo ci sono, per così dire in nuce, tutti i miracoli della vita di Gesù. Il fatto che avvenga durante una festa di nozze non è così solo un dettaglio. Il miracolo è un “segno” dell’attività messianica di Gesù, della sua potenza e della sua gloria. Il fatto che avvenga nel contesto di una cerimonia nuziale ci suggerisce che il matrimonio costituisce un « mistero grande » (Ef 5,31), che ci svela il senso ultimo dell’agire di Dio nei nostri confronti. È l’amore che lo spinge ad entrare nella vicenda degli uomini e a “sposare” la natura umana. Questa natura umana sposata e redenta è la Chiesa. Così come non è un dettaglio casuale che Maria sia presente. Giovanni lo mette in chiara luce, perché dice subito che « c’era la madre di Gesù » e aggiunge poi che « Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli ». Ovviamente non vuole insinuare che il Signore sia una figura secondaria, perché in definitiva il miracolo lo fa lui e lui solo, ma non teme di porre con decisione la figura di Maria al centro dell’episodio. Qui Gesù non indaga – come avverrà spesso nei miracoli che seguiranno – sulla fede di chi glielo chiede: « Non temere, soltanto abbi fede! » (Mc 5,36) e il racconto non indugia a rilevare la fede che precede il miracolo: « la tua fede ti ha salvato! » (Lc 17,19). Qui la fede è come impersonata in Maria! Il modo con cui Gesù si rivolge a lei è certamente misterioso, si direbbe ambiguo. Di primo acchito sembra un’espressione di distacco, una presa di distanza dal sapore quasi offensivo: « Donna, che vuoi da me? », letteralmente « Che c’è fra me e te o Donna?». Se un figlio si fosse rivolto alla madre chiamandola “Donna”, nel contesto dell’epoca e delle usanze del popolo ebraico (ma direi che questo appartiene ad ogni epoca e ad ogni popolo…), si sarebbe meritato un aspro e risentito rimprovero e – se ancora bambino – un (meritato) ceffone. Ma questo appartiene allo stile di Giovanni, usare delle evidenti ambiguità per alludere ad un mistero. Come se avesse voluto dire: « Che mistero grande c’è fra me e te o Donna!». Dove il termine si colora di una profondità insolita ed arcana, paragonabile al termine tante volte usato da Gesù di “Figlio dell’uomo”. Qui Maria è chiaramente non “una donna”, ma “la Donna”. Donna nel senso di Gn 3,15 e di Gal 4,4; Gv 19,26 e Ap 12,1. Qui Maria è subito esaudita, anzi il suo intervento sembra anticipare l’ “ora” di Gesù. « Il miracolo di Cana si caratterizza […] come anticipazione dell’ora ed è interamente a essa legato. Come potremmo dimenticare che questo emozionante mistero dell’anticipazione dell’ora c’è ancora e di continuo? Come Gesù, dietro preghiera di sua Madre, anticipa simbolicamente la sua ora e, insieme, rimanda a essa, così avviene sempre di nuovo nell’Eucaristia: dietro la preghiera della Chiesa, il Signore anticipa in essa il suo ritorno, viene già ora, celebra già ora le nozze con noi, tirandoci così simultaneamente fuori dal nostro tempo, avanti verso quell’ “ora” » (Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, pp. 293-294). L’ora di Gesù è il suo mistero pasquale, il momento solenne e centrale della sua morte e risurrezione, da cui scaturisce ogni salvezza, il momento in cui si consuma in pienezza il suo matrimonio con la natura umana che viene definitivamente divinizzata. L’ “ora” è anticipata perché diventa non un evento relegato nel passato o nel futuro, ma qualcosa che succede adesso nella mia vita. Questo miracolo della trasformazione dell’ “acqua” della nostra umanità nel “vino” della divinità diventa “nostro” in virtù dell’intercessione di Maria onnipotente per grazia. Qui Maria impersona la Chiesa che sta davanti a Gesù, diversa da lui non in quanto umanità peccatrice e traditrice, ma in quanto sposa fedele ed innamorata. Una diversità che non è più lontananza ed estraneità, ma solo il necessario presupposto dell’amore. Per questo la liturgia ci fa pregare così: « non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa » di cui Maria è membro eminente e Madre. La devozione alla Chiesa e a Maria fanno in definitiva tutt’uno.