« Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?”. Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: “Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo”. Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”. Gli risposero: “Di Cesare”. Gesù disse loro: “Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio”. E rimasero ammirati di lui » (Mc 12,13-17).
Secondo il suo solito – continuando in questo modo l’uso dei profeti – Gesù utilizza un esempio concreto per dare un supporto visivo a quello che intende insegnare (cfr. Ger 19,1-10; 27,2; Ez 4). Dice per questo: « Portatemi un denaro: voglio vederlo ». Il denaro era una moneta romana d’argento che corrispondeva, grosso modo, alla paga giornaliera di un lavoratore. Su di essa vi era impressa l’immagine dell’imperatore, che, a quel tempo, era Tiberio. Recava sul retto l’iscrizione: “Tiberio Cesare, Augusto, figlio del divino Augusto” e sul verso “Sommo Sacerdote – Pontifex Maximus”, cioè il supremo mediatore tra gli uomini e gli dei. Una simile pretesa suonava come un abominio agli occhi degli ebrei. Tuttavia, chiedendo loro la moneta, Gesù li costringeva a riflettere su questo fatto: portando le monete su di sé all’interno del recinto del Tempio, riconoscevano l’autorità di chi le emetteva e la cui immagine vi era chiaramente impressa. Secondo la concezione diffusa a quel tempo la moneta apparteneva a colui che vi imprimeva la sua immagine. Il tributo era perciò la modalità legittima con cui si riconosceva concretamente il suo governo. Si trattava in questo modo di “restituire” all’autorità quello che l’autorità esercitava legittimemente come servizio. L’uomo, tutto l’uomo ed ogni uomo, appartiene invece a Dio, perché ne è l’immagine: « Dio creò l’uomo a sua immagine » (Gen 1,27). Lo Stato pretende un pezzo di metallo, mentre Dio pretende dall’uomo tutto il suo essere: « amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza » (Mc 12,30). L’autorità civile va rispettata (Rm 13,1-7; 1Tim 2,1-6; Tt 3,1-2; 1Pt 2,13-17): essa però è limitata e quando impone leggi contrarie alla legge di Dio, non deve essere obbedita (At 5,29; Ap 13,1-18). « Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell’ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo » (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2242). L’unica obbedienza assoluta è nei confronti di Dio.