Da La bianca Torre di Ecthelion del 26/10/2017. Foto da articolo
Missione compiuta. I sistemi di controllo sui profughi richiedenti asilo sono stati migliorati e quindi gli Stati Uniti possono tornare ad accoglierli.
Martedì 24 ottobre il presidente Donald J. Trump ha emesso un nuovo decreto-legge, l’Ordine Esecutivo 13818, Resuming the United States Refugee Admissions Program with Enhanced Vetting Capabilities (“Ripresa del programma degli Stati Uniti per l’accoglienza dei profughi con capacità di controllo potenziate”), per ristabilire lo “United States Refugee Admissions Program” (USRAP), ovvero lo screening effettuato da un pool di agenzie governative e organizzazioni no-profitsia negli Stati Uniti sia all’estero per identificare e quindi eventualmente ammettere a ragion veduta profughi stranieri sul suolo americano.
Lo ha fatto perché il blocco temporaneo dell’USRAP era una delle misure concrete per assicurare le frontiere messe in campo dall’Ordine Esecutivo 13780 del 6 marzo 2017, Protecting the Nation from Foreign Terrorist Entry into the United States (“Proteggere il Paese dall’ingresso negli Stati Uniti di terroristi stranieri”), il quale, esplicitandone alcuni contenuti, aveva sostituito l’Ordine Esecutivo 13769 diramato con il medesimo titolo il 27 gennaio precedente. E lo ha fatto martedì perché l’Ordine Esecutivo 13780 aveva stabilito la durata del blocco temporaneo dell’USRAP in 120 giorni a partire dalla data dell’entrata in vigore del provvedimento: essendo il provvedimento entrato in vigore dopo che il 26 giugno la Corte Suprema federale ne ha stabilito la legittimità, il calendario ha fissato il termine appunto al 24 ottobre.
Ora, all’epoca la Corte Suprema federale aveva fissato al 10 ottobre la data per l’udienza sul ricorso alla Corte d’appello del Quarto Circuito degli Stati Uniti presentato dalla Casa Bianca contro la sospensione del provvedimento stabilito il 19 giugno dal giudice Theodore D. Chuang del Tribunale federale distrettuale del Maryland, ma poi ha sospeso tutto. Perché? Perché nel frattempo, il 24 settembre, Trump ha emesso una nuova direttiva, la Proclamation 9645, intitolata Enhancing Vetting Capabilities and Processes for Detecting Attempted Entry Into the United States by Terrorists or Other Public-Safety Threats (“Miglioramento delle capacità e dei processi di verifica per l’individuazione dei tentativi d’ingresso negli Stati Uniti di terroristi o di altre minacce alla sicurezza pubblica”), che, modificando alcune norme dell’Ordine Esecutivo 13780, nei fatti lo sostituiva. Segnatamente, la Proclamation 9645 ha cambiato la lista dei Paesi banditi per 90 giorni dall’Ordine Esecutivo 13780 (cosa diversa dalla sospensione dell’USRAP per 120 giorni): prima erano Iran, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Yemen (e nell’Ordine Esecutivo 13729, quello originario, pure Iraq), quindi sono diventati Ciad, Iran, Libia, Corea del Nord, Somalia, Siria, Venezuela e Yemen. Questo. da un lato ha reso impossibile alla stampa ridurre maliziosamente il provvedimento a un “muslim ban” reiterando che si è sempre invece trattato di un “travel ban” dettato da ragioni di sicurezza, dall’altro è servito al tribunale costituzionale del Paese per suggerire (opportunamente) che le vecchie polemiche sull’Ordine Esecutivo 13780 (e sul 13769) sono state cancellate dal sopraggiungere di un nuovo fatto, ovvero appunto dall’impossibilità di montare un caso d’inesistente “anti-islamismo” ai danni del governo.
Roma locuta causa finita est, dunque? Affatto. Il 17 settembre, infatti, alla vigilia dell’entrata in vigore della direttiva, il giudice Derrick K. Watson del Tribunale federale distrettuale delle Hawaii ‒ lo stesso che già aveva bloccato l’Ordine Esecutivo 13780 il 15 marzo ‒ ha bloccato anche la Proclamation 9645. Sempre ridicolmente pretendendo che essa violi, come gli ordini esecutivi precedenti, la libertà religiosa.
Una storia infinita, letteralmente, incentrata su argomenti capziosi e impudentemente portata avanti da giudici politicizzati. Finalmente però la vicenda è stata superata. Come dice il testo del nuovo ordine esecutivo varato martedì, «la Sezione 6(a) dell’Ordine Esecutivo 13780 aveva imposto un processo di revisione mirante a rafforzare le procedure di controllo per accedere allo USRAP» e adesso quel «[…] processo di revisione […] ha reso il nostro un Paese più sicuro»; le frontiere per i profughi che passino questi controlli più accurati sono dunque riaperte.
Restano i sorvegliati speciali. La stampa parla di 11 Paesi i cui cittadini richiedenti asilo negli Stati Uniti verranno sottoposti a ulteriori 90 giorni di accertamenti minuziosi. Quali, la Casa Biana non lo dice. Il loro numero è stato fatto alla conference call indetta da Trump con i cronisti cui accenna la Repubblica. Nel nuovo ordine esecutivo, infatti, là dove si dice che i richiedenti asilo provenienti da alcuni Paesi verranno ulteriormente scandagliati per tre mesi, non si fa alcun numero. Sulla base d’indiscrezioni e di alcuni precedenti, Politico.com stila un elenco: Corea del Nord, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Mali, Siria, Somalia, Sudan, Sudan del Sud e Yemen. Poi resta la questione degli 8 Paesi banditi il 24 settembre (Ciad, Iran, Libia, Corea del Nord, Somalia, Siria, Venezuela e Yemen) per una fattispecie diversa dalla sospensione temporanea dello USRAP oggi revocata: il giudice Watson ha fermato tutto, ma la Casa Bianca lascerà perdere?
Insomma, per ottenere la ripresa dello USRAP in condizioni di maggior sicurezza ci sono voluti mesi e mesi. La Casa Bianca ha sprecato risorse e tempo per difendersi da accuse assurde. I tribunali federali si sono lanciati in cause temerarie e ideologiche. Gli Stati Uniti hanno dovuto lavorare in corso d’opera, adeguando le procedure di sicurezza senza godere del riparo che il governo aveva immaginato (la chiusura temporanea delle frontiere), quindi pericolosamente. Ma non si sarebbe potuto lasciare l’Amministrazione lavorare subito e più serenamente senza montare un processo alle intenzioni dannoso per tuti e intenzionato solo a denigrare Trump a ogni costo?
Marco Respinti