Da La bianca Torre di Ecthelion del 21/07/2018. Foto da articolo
Il suo nome era Il Vittorioso e lo chiamavano il «sempre più bello». Giornalino per ragazzi fatto di storie appassionanti e di fumetti esilaranti, vide la luce nel gennaio 1937. Adesso è in mostra a Wow. Spazio Fumetto, il museo della “nona arte” diretto a Milano da Luigi F. Bona e Riccardo Mazzoni, grazie all’Associazione Amici del Vittorioso di Cesano Maderno, in Brianza. Né i cultori possono perdersi lo studio del contemporaneista Ernesto Preziosi, Il Vittorioso. Storia di un settimanale per ragazzi 1937-1966 (il Mulino, Bologna 2012), o l’albo di Giorgio Vecchio, L’Italia del Vittorioso (AVE, Roma 2011), che tra l’altro ripropone le copertine più belle e otto storie complete.
Correva l’anno XV dell’era fascista e sul Soglio di Pietro regnava Pio XI. Il Vittorioso era nato da due mesi e quel Papa scomunicò il comunismo come «intrinsecamente perverso»; cinque giorni prima aveva condannato il nazionalsocialismo. In Spagna infuriava la guerra civile e la Seconda guerra mondiale aleggiava. In Italia i partiti erano fuorilegge e la Chiesa Cattolica contendeva al regime l’educazione dei giovani. A monte stava l’inimicizia fra lo Stato unitario e i cattolici. Fu in questo clima che la Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC) pensò di catturare due piccioni con una fava: le anime dei giovani e il rispetto da parte delle istituzioni, mostrando che l’amor di patria dei cattolici non è secondo a nessuno. Un giornalino, dunque, «forte, lieto, leale, generoso» (questo il suo slogan), che fosse tutto cattolico e tutto italiano: per «sentirsi», scrive Preziosi, «anche se in ritardo, a pieno titolo portatori dell’italianità e nell’essere la culla della cristianità».
Edito da AVE
Nato per battere Topolino e L’Avventuroso ‒ entrambi editi prima da Nerbini a Firenze e poi da Mondadori a Milano ‒, Il Vittorioso è la quintessenza del prodotto da parrocchia. Nella mostra di Milano c’è persino una delle prime, e costose, macchine usate per proiettare i fumetti in oratorio. Ma è anche il modo con cui la “buona stampa” esce dal recinto sacro, proprio come vogliono i suoi ideatori. Del resto anche il Tintin di Hergé nasce dal cattolicesimo sociale belga degli anni 1920-1930, e così pure il genio di un altro maestro di area, il cattolicissimo Jijé.
Edito a Roma dalla AVE, acronimo di Anonima Veritas Editrice, Il Vittorioso conquista insomma lo Stivale, arruolando o scoprendo le firme da hall of fame di Franco Caprioli, che esordisce proprio lì, e di Gianluigi Bonelli, il futuro papà di Tex Willer. Quindi l’originalissimo Sebastiano Craveri e Kurt Caesar, l’italiano italianissimo quantunque di origine tedesca e di natali francesi, la cui vita sembra un’avventura di Corto Maltese. Fece anche da interprete al feldmaresciallo Erwin Rommel, fu partigiano antifascista ma venne arrestato dagl’inglesi che non ci credevano, e finì pure stipendiato (per poco, per poco…) dal PCI. Sue sono le magiche copertine diUrania e le strisce di Romano il Legionario (storia di un soldato franchista che prosegue la lotta nel secondo conflitto mondiale) create appositamente per Il Vittorioso. Seguono i bei nomi di Gianni De Luca, Carlo Peroni, Lina Buffolente, Lino Landolfi e tanti altri fra cui, dal 1940, l’inimitabile Benito Jacovitti, allora 17enne, che firmerà pure uno spin-off, ossia il Diario Vitt, quello che tra il 1949 e il 1980 frotte di scolari italiani portavano in cartella (magari col pelo di cavallino). Ma ci pensate che fino a ieri l’altro è stato un prodotto cattolico di gran talento a tenere banco e testa ai sinistri della Smemoranda? Quando nel 1967 il Vittorioso cambia nome in Vitt: il rotocalco dei ragazzi, molti credono che sia proprio per via di Jacovitti…
Il declino
In realtà lì comincia il declino. Nel 1970 il giornalino chiude. La comunicazione è cambiata, il fumetto anche, ma soprattutto non c’è più quell’Italia, travolta dal Sessantotto. Addirittura, l’uomo che ha partorito il Vittorioso vive “nascosto” perché così vuole una DC che oramai se la fa con la Sinistra. Il suo nome è Luigi Gedda e nelle elezioni fatidiche del 1948 sconfisse il Fronte Popolare organizzando i Comitati Civici e il mondo cattolico. Impedendo che l’Italia finisse nell’orbita sovietica, Gedda ha regalato la libertà al nostro Paese. C’è da commuoversi a vedere, nella mostra di Milano, una tessera originale della GIAC di allora, fronte e retro, su cui decisa e schietta, si mostra senza vergogna la sua bella firma di vero italiano, di vero cattolico.
Marco Respinti