« Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà”. Ed essi furono molto rattristati. Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: “Il vostro maestro non paga la tassa?”. Rispose: “Sì”. Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: “Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?”. Rispose: “Dagli estranei”. E Gesù replicò: “Quindi i figli sono liberi. Ma, per evitare di scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te” » (Mt 17,22-27).
Quello che qui viene tradotto genericamente con «la tassa» nel testo greco è «le didramme [τὰ δίδραχμα]». Il δίδραχμον o “doppia dracma” era una moneta d’argento di Alessandria, corrispondente a due dracme attiche, due denari romani e a mezzo shekel (שֶׁקֶל – siclo) ebraico. Corrispondeva grosso modo alla paga di due giorni e a quanto un giovane ebreo al di sopra dei vent’anni di età doveva versare abitualmente come contributo per le spese del Tempio una volta all’anno. Era una legge che si era sviluppata dopo l’esilio (ai tempi di Neemia per esempio la tassa era di un terzo di shekel, cfr. Ne 10,32-33) e c’era disaccordo sulla sua pratica. I farisei pensavano che le sue radici fossero nella Scrittura (Es 30,13-16) e che fosse una tassa annuale, mentre gli Esseni di Qumran la pagavano una volta sola nella vita e i Sadducei sostenevano che fosse una tradizione inventata dai Farisei.
Che quelli che riscuotevano la tassa si presentassero da Gesù (passando attraverso Pietro: un altro piccolo segnale del suo primato) aveva dunque un significato speciale, perché voleva dire: voi come la pensate sul punto? La risposta di Gesù, al di là del miracolo che compie, prende dunque un significato dottrinale importante. L’esempio è quello del Re che riscuote il tributo non dai propri figli, ma dagli altri (ἀπὸ τῶν ἀλλοτρίων). L’opposizione tra i figli e “gli altri” non deve essere intesa come tra i sudditi e gli stranieri, ma come tra la famiglia del Re e il popolo. È evidente che il Re non riscuote tributi da quelli del suo sangue ma dal popolo. Anche qui vediamo un importante approfondimento sull’identità di Gesù.
Il tributo riguarda infatti il tempio e il culto di Dio e Gesù rivela senza mezzi termini ai discepoli di esserne esente. Perché non lo dice chiaramente a tutti? Perché non vuole dare scandalo? Lo scandalo in altre occasioni (le guarigioni in giorno di sabato) lo ha dato senza preoccuparsi delle conseguenze. Qui no. Pagare il tributo di due didramme vuol dire non tanto dar ragione ai Farisei, quanto comportarsi come loro. Gesù infatti si comportava come un fariseo: portava il mantello con le frange, si circondava di discepoli e teneva loro discorsi che assomigliavano moltissimo nello stile a quello dei maestri dell’epoca. La moneta trovata nella bocca del pesce era infatti uno statere, cioè una moneta attica d’argento che corrispondeva allo shekel ebreo o a due dracme alessandrine: esattamente la cifra della tassa per lui e Pietro. Gesù non ha mai contraddetto la Legge, né in sé né nella sua interpretazione corrente. Quando (apparentemente) la contraddice è per approfondirla e compierla. Lo scandalo di Gesù non è mai fine a sé stesso.