« Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti » (Lc 6,20-26).
Il discorso delle Beatitudini è la promulgazione della nuova legge che non abolisce l’antica ma la porta a compimento, cioè la perfeziona e la realizza. È bene vedere questo discorso in parallelo con la versione di Matteo (Mt 5,1-12). Matteo mette in evidenza che Gesù è il nuovo Mosè che porta a compimento la legge. Anche Gesù, come Mosè parla dalla montagna (che qui è solo un leggero promontorio ed ha un significato evidentemente simbolico) e parla con una autorità inaudita: chi può permettersi di promulgare una legge paragonabile a quella di Mosè? Chi può permettersi di perfezionarla? Dio solo evidentemente. Qui il mistero di Gesù appare con grande evidenza. La parola “beati” potrebbe essere tradotta con “fortunati” e “beati voi” con “congratulazioni a voi”. Il termine “fortunati” deve però essere purificato dal suo richiamo a circostanze casuali: qui la “fortuna” dipende da un disegno sapiente e trascendente di salvezza che anima dal profondo la storia. Mosè parlava con Dio come un amico parla con un amico…
Però – nonostante la grandezza di Mosè – qualcosa mancava, e qualcosa di essenziale. Mosè dice a Dio: «Mostrami la tua Gloria!» (Es 33,18). Ma Dio non può soddisfare in pieno la richiesta di Mosè: «[…] tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo» (v. 20). Perché un uomo possa vedere Dio deve morire… Parole oscure e ricche di mistero. Certamente qui si rimanda ad una vita che è oltre la morte, ma non solo. Si fa riferimento al fatto che l’uomo per “vedere Dio” deve essere liberato dalla prigionia di un peccato che lo chiude nel suo egoismo e nel suo orgoglio. Prigionia da cui, da solo, non può liberarsi. Ci vuole un nuovo Mosè. Mosè è salito sulla montagna per portare al popolo, dall’incontro con Dio, le tavole della legge, ed ecco che « Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli » (Mt 5,1). La montagna di Mosè, il Sinai, è imponente. La montagna di Gesù, ai bordi del lago di Galilea, è modesta. Il Sinai è un luogo desertico e la manifestazione di Dio è letteralmente terrificante… Il luogo dove parla Gesù è semplice ed ameno. Certamente la legge nuova è dolce e leggera (cfr. Mt 11,30) perché è fatta di grazia, di dono gratuito di Dio a cui il “povero” si abbandona: « La Legge nuova è la grazia dello Spirito Santo » (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1966). Ma è ancora più esigente dell’antica, essendone il perfezionamento.
Gesù è la verità e la verità non può esser colta veramente e compiutamente se non è “fatta” per mezzo dell’amore (cfr. Ef 4,15). Gesù via, verità e vita deve essere accolto nel cuore e con il cuore, con intelligenza e amore, con amore e intelligenza… Maria ci aiuta a realizzare questo supremo e decisivo miracolo. Il miracolo della nostra vita che cambia, si trasforma e viene divinizzata.