« Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio e secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù, a Timòteo, figlio carissimo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro. Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura, ricordandomi di te nelle mie preghiere sempre, notte e giorno. Mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. Mi ricordo infatti della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Lòide e tua madre Eunìce, e che ora, ne sono certo, è anche in te. Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo » (2Tm 1,1-8).
Tito era un greco di origine pagana, forse nativo di Corinto (cfr. At 18,7), della cui conversione è responsabile lo stesso san Paolo (« mio vero figlio nella medesima fede » Tt 1,4), posto da lui a capo della chiesa di Creta (v. 5).
Le sue reliquie sono venerate a Candia, sulla stessa isola. L’espressione usata da san Paolo, che è in prigione e sul punto di lasciare questa vita, a proposito di Timoteo « figlio carissimo » riecheggia quella dell’Antico Testamento « figlio unico » o « primogenito » (Gen 22,2.12.16) con il diritto di succedere al padre e di ricevere la sua eredità.
Da quel momento infatti Timoteo porterà avanti la missione di Paolo e già lo sta facendo a Efeso. Anche se Paolo usa l’espressione τέκνον – bambino e non quella di figlio, non è possibile pensare che fosse estranea alle sue intenzioni l’idea di successione: « ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani ».
La successione apostolica non è la trasmissione di un’autorità solo giuridicamente intesa ma di un potere vitale. Perché questo è il Vangelo: non solo una dottrina, ma soprattutto una vita.
Attenzione però, non come dicevano i modernisti: una vita e quindi non una dottrina, ma una dottrina che è, inseparabilmente, una vita.
Ecco perché questa trasmissione, quando è compiuta con l’autorità degli apostoli, o dei loro successori (o comunque in comunione con loro) è sempre vivente e comporta un potere “esorcistico”, quello di scacciare la menzogna e l’anti-vita del Demònio (« padre della menzogna» e « omicida fin da principio» Gv 8,44).