« Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: “Figlio mio, non disprezzare la correzione [παιδείας] del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio“. È per la vostra correzione che voi soffrite [εἰς παιδείαν ὑπομένετε]! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? […]. Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire. Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore; vigilate perché nessuno si privi della grazia di Dio. Non spunti né cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa, che provochi danni e molti ne siano contagiati » (Eb 12,4-7.11-15).
La parola “castigo” è certamente presente nei documenti – anche molto recenti – della Tradizione della Chiesa come attribuita all’azione di Dio. Il problema è che essa ha cambiato molto di significato.
Oggi chi la legge o l’ascolta, essendo normalmente impregnato da una mentalità non più cristiana, lo intende come puro e semplice sinonimo di “punizione”. Dio ci castigherebbe nel senso che “ce la fa pagare”, dove la verità fondamentale della sostituzione vicaria per cui il Verbo incarnato ha pagato in sovrabbondanza per tutti è dimenticata.
Dio non è venuto per “punire” il mondo, ma per salvare il mondo (cfr. Gv 12,47). La parola “castigo” nelle lingue della Bibbia ha il significato prevalente di “correzione”. « Figlio mio, non disprezzare l’istruzione [מוּסַר da יָסַר ‘istruire, lasciarsi istruire, castigare, correggere, disciplinare’] del Signore e non aver a noia la sua correzione [תּוֹכַחַת da יָכַח ‘rimproverare, castigare, punire, convincere’], perché il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto » (Pr 3,11-12).
Il problema vero non è dunque mettersi a cercare la parola “castigo” per contrapporla alla parola “misericordia”, facendo una sorta di conteggio delle occorrenze in un senso o nell’altro, ma quello di rileggere tutto alla luce della Parola ultima e definitiva che è quella del Vangelo. Gesù con la sua Passione e la sua Resurrezione ha pagato tutto. Ma proprio tutto!
Il pensiero di dovere o potere aggiungere qualcosa a quanto fatto da Lui è una bestemmia. La “mancanza” di cui parla san Paolo nella lettera ai Colossesi (1,24) non si riferisce al sacrificio di Cristo in sé, ma nell’accoglienza che noi siamo chiamati a farne nella nostra vita con la nostra libertà. Allora perché c’è ancora il male nel mondo? Perché gli uomini devono appunto accogliere nella libertà l’amore di Dio che si è manifestato in Gesù.