In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me ed io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv 15,1-9).
La grazia di Dio è necessaria per salvarsi. Questa è una delle verità fondamentali apprese a catechismo. Il paragone della vite e dei tralci esemplifica ottimamente questa esigenza dell’anima.
Come realizzare questa unione profonda con il Salvatore, fino ad essere un tralcio nutrito della sua linfa? Essa è legata ai Sacramenti, nei quali ci si affida a Lui, che tocca i nostri mali ed essi “scompaiono”. Ai Sacramenti si arriva poco alla volta, passando per un catechista appassionato che ti parla di Gesù mettendotelo sotto gli occhi “dal vivo”, tramite parole di grazia. Ben lo sa chi si dedica al lavoro apostolico: se Gesù non dà la forza necessaria, le parole saranno «come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna» (1Cor 13,1).
Questa esperienza è anche quella di ogni laico cattolico coscienzioso quando propone la fede. Si dedicano parole di incoraggiamento al prossimo, ma l’effetto non è sempre lo stesso: una breve frase può essere illuminante, mentre il “bel discorso” di un altro potrebbe non fare alcuna breccia. La differenza sta unicamente nella cultura, nell’arte oratoria, nell’energia persuasiva? La differenza, in realtà, è Cristo: le nostre parole sono efficaci se escono da un cuore affidato a Lui, che così parla con la nostra bocca.
Allora il prossimo vede, anche tramite la nostra povera umanità, ciò che di più puro, più bello, di più elevato e di più santo l’uomo potrebbe desiderare. Nei grandi della storia si trovano sempre tratti di nobiltà uniti a limiti umani, a causa dei quali un uomo è sempre «troppo umano», per dirla con il filosofo Friedrich Nietzsche (1854-1900). Prima o poi emerge qualche piccolezza e meschinità, per le quali egli va sopportato e amato in maniera ancora più disinteressata.
Non c’è uomo al mondo che non sia “troppo umano”, ma l’umanità di Gesù risplende senza miserie: ogni sua parola, ogni suo gesto e tutta la sua esistenza tracimano verità e grazia. Gesù Cristo è l’unico “tonico” per la vita di questo mondo. Questa constatazione esorta al compimento della fede nella Grazia e porta ad accostarci con piena fiducia ai Sacramenti.