In quel tempo, dissero i discepoli a Gesù: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcun altro ti interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio». Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!». (Gv 16,29 – 33)
Il dogma della Trinità getta piena chiarezza, sulla dimensione sociale umana. Diversamente, non si spiegherebbe l’immenso problema della solitudine relazionale. Tante persone, se domandassimo loro, cosa porta maggiormente disagio nella vita, risponderebbero la solitudine, nonostante non gli manchi nulla di materialmente essenziale per vivere. Chi ha sperimentato forzati momenti di solitudine, osserva sempre una grande difficoltà nel conservare un buon equilibrio, praticamente un inizio di malattia psichiatrica. L’esperienza dell’abbandono, che purtroppo oggi è frequente nei divorzi, provoca sempre una grande sofferenza. La vita spirituale di coloro che si trovano in queste situazioni conferma pienamente il detto evangelico: «Guai ai soli».
Il primo effetto del peccato è la difficoltà relazionale. Il peccatore si isola, è confuso, non sopporta più se stesso, né gli altri, tutto diviene troppo difficile e problematico. Le conseguenze sono così devastanti, per cui non è esagerato affermare, che la solitudine è un stato esistenziale contro natura. Però, è solo nella luce di Cristo, che cogliamo tutta la gravità e contemporaneamente la bellezza, della nostra natura sociale. Lui ci rivela chi siamo: Immagine e Somiglianza di un Dio che è una perfetta “compagnia” trinitaria. Noi siamo chiamati a prenderne parte come figli adottivi, lasciando sempre un contatto aperto con il Padre, che sempre ci invita a porci in uno stato di vita corrispondente alla Sua volontà e alla dolcissima Sua presenza.
Nella biografia di Charles de Foucauld, si legge che una volta in Africa era andato a trovare il console francese, che si fece attendere a lungo. Quando alla fine lo ricevette, il console si scusò: «Perdonatemi se vi ho lasciato solo così a lungo». «Non sono mai solo», rispose il monaco, intendendo dire che viveva sempre alla presenza di Dio e cercando di compiere la Sua volontà. Nessuno ama la solitudine. Può essere che un ambiente diventi noioso, allora una persona cerca la solitudine, ma subito dopo ne sente il peso e torna a tuffarsi nella vita sociale, nella quale, però, continua a sentirsi a disagio. E’ come una forma di desolazione, una sensazione di esilio, di estraneità che può accompagnare anche tutta la vita. In realtà, il prossimo bisogna amarlo di un amore più forte della morte. Quello stesso per cui il monaco francese sopra citato affermava di non essere mai solo, ma di percepire accanto a sé una Presenza potente e amante che non ci abbandona mai, tracimante e diffusiva. La luce e la pace sono il segno celeste che la nostra volontà è unita a quella di Dio.