In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?». Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose» (Mc 11,27 – 33).
La sovranità di Dio si abbassa fino a diventare un umile falegname di Nazareth e, poi, servo della Parola, obbediente al Padre. L’autorità divina non è paragonabile alle forze umane e può addirittura divenire un pezzo di pane e un sorso di vino. Questa è l’autentica forza dell’amore: tocca tutti i nostri mali e li scaccia con la più genuina e intrinseca capacità di ricreare la vita. E’ questo il significato autentico della parola “autorità”: “colui che accresce” (verbo latino augere) la vita degli altri. Chi desidera Dio, vive di una grande aspirazione, perché il Signore supera tutto ciò che è umano. Il grande filosofo greco Platone (428-347 a.C.) pone le divinità nel «Mondo delle Idee» (Iperuranio), quindi in una dimensione soprannaturale distante anni luce dalle imperfezioni terrene. Nella cultura ebraica non è possibile alcuna immagine di Jahwè, perché limiterebbe la Sua grandezza e offuscherebbe il Suo nome, stando ad un’idea di Dio molto arcaica, per la quale la divinità non può che incutere terrore.
Poi arrivò una zattera più robusta per navigare nel mare mosso della vita, cioè Dio stesso che si manifesta. Dapprima il Creatore parlò in un roveto ardente, poi scese sul Monte Sinai, andò a risiedere nell’Arca dell’Alleanza e nel sancta sanctorum del Tempio di Gerusalemme, si manifestò nella potenza donata a Mosè e ai profeti, ma poi il Figlio si fece carne e venne nel mondo a morire sulla croce. I farisei di ogni tempo stentano a credere all’autorità divina, quando essa indossa le vesti del servizio: erano troppo abituati ad associarla al dominio, al possesso, al potere e al successo, ma l’apostolo Pietro, un semplice pescatore, si entusiasmò per questo “strano” Messia, Lo seguì come colui che sa sfamare il più urgente appetito, quello che riguarda la vita eterna.
«Guai avere fame di eternità», se non viene sfamata: si realizza di essere diventati schiavi del tempo che passa. Quando gli fu chiesto di rendere ragione della sua fede, Simone praticamente propose, con la sua semplice esperienza di vita accanto al Signore, il secondo articolo del Credo che recitiamo ancora oggi nella Santa Messa: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, Tu solo hai parole di vita eterna». Nel Credo niceno-costantinopolitano diciamo esattamente «Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli» e chiniamo umilmente il capo quando ricordiamo che l’Eterno è entrato nel tempo («et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est»). E’ un modo, tutto petrino, di affermare che Dio si è fatto uomo ed è sceso dal cielo per donarci la Sua stessa vita. Pietro ha meritato di ricevere la conoscenza delle realtà divine, ciò che solo il Santo Spirito può dare, ed è divenuto un uomo di Dio, può ora proclamare che l’abisso fra cielo e terra è stato colmato dal Redentore. Il Cristianesimo è il gioioso annuncio che Dio e l’uomo sono diventati una cosa sola e Pietro, in cambio della sua limpida professione di fede, ha ricevuto da Gesù la somma autorità di custodire le chiavi del Regno dei Cieli.