In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,38 – 42).
Per la comunità cristiana è il momento di riporre con sincerità, insieme a Marta, tutta la speranza in Gesù di Nazareth: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo» (Lc 10,27).
Credere in Gesù Cristo e in colui che l’ha mandato per la nostra salvezza, è necessario per essere salvati. «Poiché senza la fede è impossibile essere graditi a Dio» (Eb 11,6) e condividere la condizione di suoi figli, nessuno può essere mai giustificato senza di essa e nessuno conseguirà la vita eterna se non «persevererà in essa sino alla fine» (Mt 10,22; 24,13) (CCC n.161).
La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte, per vivere senza fine con Lui. La fede nella risurrezione dai morti e la speranza della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso ultimo della nostra esistenza: Dio ha creato l’uomo per la risurrezione e per la vita, e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all’economia. Privo della luce della fede l’universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza speranza.
Osservando realmente, non c’è delimitazione netta fra i due stili di vita indicati da Marta (vita attiva) e da Maria (vita contemplativa). Non sono separabili. I monaci più contemplativi hanno comunque dei momenti di lavoro, come pure, analogamente, il consacrato di vita attiva deve anzi tutto conservare una vita di preghiera. San Benedetto da Norcia (480-547) risollevò l’Europa col suo: «Ora et Labora».
Chi non ha tempo per pregare, diceva il presidente americano Abramo Lincoln (1809-65), non ha tempo per vivere. Il lavoro e le opere pratiche spesso ci impediscono il raccoglimento. Se mai troviamo un quarto d’ora, la mente è ancora presa da mille faccende e pensieri che disturbano la preghiera.
Eppure è possibile lavorare e pregare, impegnandosi a fondo, ma con la continua consapevolezza di cercare la volontà di Dio, fino a sentire certe volte la voce di Gesù, come accadeva a sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), autentico contemplativo nell’azione.