In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (Mt 25,1 – 13).
Nel simbolismo liturgico una fiamma accesa in chiesa è simbolo di Cristo, che è anche luce e calore. Dovunque vediamo una fiamma. Sia i ceri sull’altare, sia il cero pasquale o le candele votive che tutti offriamo innanzi all’altare di un santo, sono un richiamo alla Sua presenza nella nostra vita, sia che si parli della nostra conoscenza della dottrina, sia che si tratti della coscienza di un battezzato, inabitata dal Paraclito.
Questo accade quando una lampada è accesa, perché ricca di abbondante olio, il quale non può essere donato. Le vergini sagge possono sembrare lì per lì poco caritatevoli: cosa costava loro donare un po’ di olio, visto che lo Sposo stava già arrivando? Ma quest’olio che alimenta la fiamma della Fede sono le buone opere sia spirituali che corporali, riconosciute dal Padre come atti di carità. Questi atti fanno della nostra vita un’opera a Dio gradita e testimoniano la nostra autentica figliolanza, riconosciuta dal Padre e confermata dal Figlio. Secondo sant’Agostino (cfr Discorsi 93,4) quest’olio indispensabile per essere ammessi alle nozze è simbolo dell’amore, che non si può comprare, ma si riceve in dono, si conserva nell’intimo e si pratica nelle opere. Una lampada senza olio non fa luce e diviene simbolo di morte. I cristiani credono nella vita eterna dei giusti e nella morte eterna dei peccatori: la vita eterna si identifica con la grazia e l’olio nella lampada ne è il simbolo.
La fede va sempre alimentata. L’uomo rischia di morire nel momento in cui perde la grazia santificante, perché perde il dono della vita eterna. Per questo motivo chiamiamo peccati mortali i peccati gravi: il peccatore che non si converte continua la sua vita terrena, ma questa è come una luce vacillante, la luce emessa dall’ultima goccia d’olio rimasta nella lampada. Soltanto quando è buio serve accendere una lampada, ma il buio di cui si parla, oltre alla morte fisica, è palpabile in diversi momenti nei quali sembra che vi sia la notte o una gran nebbia. Momenti, cioè, in cui la vita è molto ostacolata. Diventa allora possibile osservare chi ha la lampada accesa della grazia di Dio e chi, ripiegato su se stesso, appare stanco, affaticato e privo di perseveranza. La Grazia non appare spesso come la luce solare, ma è solo un chiarore appena visibile, quanto basta per orientarsi. Tanti santi hanno vissuto momenti in cui pareva che il Cielo si fosse chiuso sule loro teste. Basti pensare alla passione che viveva santa Gemma Galgani (1878-1903): le rimaneva, però, la certezza della fede. In questi momenti non vediamo niente, ma intuiamo che la strada è quella giusta e che non possiamo abbandonarla. Lo Pseudo-Macario li paragona a quando si cammina con la lampada accesa nel vento. La fiamma è incerta e traballa, ma non si spegne, e noi abbiamo la certezza che tornerà a brillare decisa quando il vento si calmerà.
Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) Vergine e martire