In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?». Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile». Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi» (Mt 19,23 – 30).
In questa parabola veniamo messi tutti in guardia in merito alle ricchezze economiche e materiali, in quanto rappresentano una tentazione all’autosufficienza, che distacca sempre da Dio in modo assai pericoloso. Difficile non significa impossibile. Tutt’altro: la ricchezza è un talento di cui si dispone e, come sempre, i talenti vanno trafficati secondo la volontà di Dio. L’Ottocento, in Italia, è stato connotato spesso da una classe di imprenditori che hanno investito e generato lavoro, offerto a tante persone che si sarebbero trovate in difficoltà dopo i disastri risorgimentali. L’imprenditoria diviene apostolato sociale e la ricchezza entra nell’ottica del dono. San Clemente Alessandrino commenta in questo modo: «La parabola insegna ai ricchi che non devono trascurare la loro salvezza come se fossero già condannati; né devono buttare a mare la ricchezza, né condannarla come insidiosa e ostile alla vita, ma devono imparare in quale modo usare la ricchezza e procurarsi la vita» («quale ricco si salverà?», si legge in Mt 27,1 – 2). La storia della Chiesa è piena di esempi di persone ricche, che hanno usato i propri beni in modo evangelico, raggiungendo anche la santità. Pensiamo solo a san Francesco d’Assisi, a santa Elisabetta d’Ungheria o a san Carlo Borromeo. La Vergine Maria, Sede della Sapienza, ci aiuti ad accogliere con gioia l’invito di Gesù, per entrare nella pienezza della vita.
L’ultimo posto è davvero di Gesù? La sua morte è stata la più umiliante e dolorosa che esista, durante la sua vita non aveva neanche dove posare il capo (Mt 8,20). Ma per capire, almeno analogicamente, la sua posizione bisogna risalire alla Santissima Trinità. Nella vita quotidiana diventa primo colui che impone la sua volontà agli altri: ultimo è chi non può fare niente, se non quello che gli impongono gli altri. Nella SS.Trinità, Dio Padre è assolutamente il primo, la sua intera conoscenza e volontà si comunicano al Figlio. Questi è assolutamente ultimo, perché pensa e fa solo ciò che riceve dal Padre, ma proprio perché riceve tutto dal Padre ed è della stessa sostanza rimane contemporaneamente il primo. Ha trasmesso questa dinamica agli uomini quando nella sua vita umana divenne primogenito di tutte le creature (Col 1,15). Quelli che Lo seguono partecipano a questo stupendo mistero dell’umiltà che è, secondo san Gregorio di Nissa, la «discesa verso l’alto» .