Allora gli dissero: “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!”. Gesù rispose loro: “Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno”. Diceva loro anche una parabola: “Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri vuoti. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!””.
Il digiuno è abbondantemente presente nella vita monastica. Può stridere il fatto che Dio abbia preparato il mondo come un banchetto imbandito. Ne consegue che noi dobbiamo ricevere i suoi doni con gratitudine. Tutto si chiarisce osservando i motivi per cui veniva praticato il digiuno.
La prima ragione ed è la principale per digiunare, è la carità.
Tanti muoiono di fame, e chi vive nell’abbondanza, rinuncia volentieri a qualche boccone in favore degli altri. L’altra ragione è una verità evidente: i bisogni della vita non sono così elevati e basta poco per vivere. Se ne rende conto chi, dopo anni di esagerazioni, riesce a governare la propria alimentazione spesso riconoscendo: “sono stato per anni schiavo di quell’ipocrita del mio stomaco!”
D’altro canto è l’amore verso il prossimo che ci porta a tavola con gli amici, per fare giustamente festa in circostanze felici e oneste, anche senza un vero desiderio. Così faceva Gesù stesso!
Digiunò per quaranta giorni, ma prendeva parte spesso ai banchetti, e spendeva parole buone e aderenti al bene per la singola persona che gli si poneva innanzi.
Quando Gesù predicava, la gente correva ad ascoltarlo. Era un programma di vita nuovo ed inconsueto, corrispondente ai bisogni intimi del cuore della gente.
Essa però continuava a vivere e a giudicare come prima. Quindi accoglieva il nuovo, ma senza toccare la vecchia struttura umana. Praticamente poneva vino nuovo, in otri vecchi.
La stessa cosa si ripete oggi giorno così come allora: Il messaggio del vangelo brilla per un momento, ma poi lascia il tempo che trova.
Il rimedio ignaziano è il metodo del “plantear el problema“, cioè porsi di fronte al problema massimo quello della morte. Si inizia nei suoi Esercizi, affrontando la “massima questione“ che non consente autentiche fughe. Dopo di che, una serie di meditazioni impregnano la sensibilità umana lì dove sta la vera gioia, cioè la persona del Salvatore. Questa trova progressiva conferma al confronto con tutti i dubbi del cuore umano e tutte le culture, nutre la vita del cuore, lo chiarisce sempre e sconfigge anche la morte. Gesù così inizia a trasmettere sentimenti legati allo Spirito Santo e alla sua presenza che ci fa pregustare quell’inconfondibile senso di possesso della vita, come solo lui sa dare: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre senza di me“ (Gv 14, 6).