Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Lc 9,18 – 22)
Il pericolo della tiepidezza, di una fede fatta di considerazioni molto umane, calcolate, che conservano tutto uno spazio di vita in cui non ci confrontiamo con Cristo, è sempre dietro l’angolo. Gesù chiede prima ai discepoli cosa dice la gente di Lui e, poi, cosa dicono loro stessi, fino alla risposta di Pietro: «Il Cristo di Dio».
Questa domanda è rivolta anche a noi, e vi sono una serie di risposte dove trapela l’essenza di una fede che rimane serrata nel privato. «Per te chi sono io? Il padrone di questa ditta, un buon profeta, un buon maestro, uno che ti fa bene al cuore? Effettivamente anche questo è tutto vero. Sono uno che cammina con te nella vita, che ti aiuta ad essere un po’ più buono? ». Le cose non finiscono qui.
Chi afferma, come Pietro, la divinità di Cristo, e mostra una adesione affettuosa e senza contraddizioni, è un’anima inabitata e figlia di Dio. Se Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivo, certo è un mistero. Ma è Lui che lo ha dichiarato. Se ognuno di noi, nella sua preghiera, guardando il Tabernacolo, dice al Signore: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo», anzi tutto non possiamo dirlo da noi stessi, deve essere lo Spirito Santo a dirlo in noi. Successivamente, stiamo pronti, perché Lui ci risponderà: «E’ Vero, Lo Sono».
Le immagini di Cristo lo rappresentano in tanti modi: è il Pastore delle pecore che decora le catacombe, è il Pantocrator nei mosaici bizantini, il Gesù sofferente delle cattedrali gotiche, è Uomo-Dio durante il Rinascimento. Ogni artista coglie un aspetto della perfezione di Gesù, secondo la sua cultura. Quante conferme però le danno anche gli atei, in modo più o meno consapevole. Apprezzano Cristo perché lo considerano un filantropo o un rivoluzionario. Accade questo perché comunque Lui è il primogenito di ogni creazione (Col 1,15) e in Lui troviamo comunque la forma perfetta dei nostri stessi tratti, che in noi sono imperfetti e parziali. Abbiamo bisogno di un continuo sforzo di perfezione per crescere secondo la misura della pienezza di Cristo (» 4,13). Nel tempo dedicato ai pasti, durante gli Esercizi spirituali ignaziani, leggere le vite dei santi è assai giovevole, perché ogni santo riflette in modo molto umano e accessibile qualche perfezione di Cristo e sono di grande ausilio per comprendere la sua pienezza.