In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore. Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti (Lc 6,12 – 19).
Una domanda che emerge non di rado nella pastorale corrente è quella che viene proposta oggi a Gesù. E’ spesso esternata, nel clima ansioso che può generarsi se si interpretano male le Sacre Scritture, quando ci si interroga riguardo al numeri dei salvati. A domanda espressa, Gesù non risponde facendo riferimento al numero effettivo di coloro che saranno beati nell’eternità, ma non restringe neppure questa immensa schiera. La Salvezza è offerta a tutti ed è il grande motivo della missione: «Da sempre la Chiesa ha tratto l’obbligo e la forza del suo slancio missionario dall’amore di Dio per tutti gli uomini: “ poiché l’amore di Cristo ci spinge…” (2 Cor 5,14). Infatti Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tim 2,4). Dio vuole la salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. Coloro che obbediscono alla mozione dello Spirito di verità sono già sul cammino della salvezza; ma la chiesa, alla quale questa verità è stata affidata, deve andare incontro al loro desiderio offrendola loro. Proprio perché crede al disegno universale di salvezza, la Chiesa deve essere missionaria» (CCC 851).
L’affermazione di Gesù, è direttamente rivolta alla risoluzione della questione cardine del senso religioso della nostra esistenza. Il primo dei problemi è la nostra personale salvezza. La persona umana sente il peso di un’esistenza precaria fino a che non raggiunge la salvezza: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta..».
In sintesi, per riformare l’atteggiamento del cuore e, quindi, le parole conseguenti, dobbiamo fare nostra l’invocazione del cieco di Gerico: «Signore Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me peccatore» (Mc 10,46 – 52). Sentire col cuore, nella fede, il grido di salvezza del cieco al suo Salvatore è attraversare quella “porta stretta” che Lui stesso ha percorso, come ci chiede oggi Gesù stesso. E subito il cieco riebbe la vista e seguiva Gesù.
«Cristo è il Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto redentore del mondo. Egli ha “acquisito” questo diritto con la sua croce. Anche il Padre “ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Gv 5,22). Ora, il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare e per donare la vita che è in lui. E’ per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica da sé stesso, riceve secondo le sue opere e può anche condannarsi per l’eternità rifiutando lo Spirito d’amore» (CCC 679).