Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,11 – 19).
Il termine “lodare Dio”, cioè dare gloria a Dio, è frequentemente usato nella Bibbia e nella Sacra Liturgia. Nella lingua italiana il termine è scarsamente usato e il suo senso è ormai ridotto. Qualunque cosa sia lodata, non è scontato che abbia un valore corrispondente.
Tutt’ora, non preoccupiamoci di essere lodati: non si incrementa la propria umanità grazie alle lodi, ma alle opere compiute. Nella lingua ebraica il termine lodare aveva un altro senso. Non esisteva una parola per esprimere il nostro frequente “ringraziamento”.
Per questo motivo usavano, come sinonimo, “esprimere plausi e benedizioni”, ragion per cui nella Bibbia si benedice e si loda Dio così sovente. E’ un sentimento naturale lodare Dio per tutto quanto abbiamo vissuto durante la giornata, ricevendolo dalla sua provvidenza.
Frequentemente le persone più lodate sono gli estranei e non i familiari. Esiste una spiegazione psicologica: quanto riceviamo dai famigliari ci sembra spesso un indiscutibile diritto, quindi siamo portati ad essere ingrati verso parenti, mariti, mogli, maestri. Oltretutto siamo spesso ingrati verso Dio: dimentichiamo i suoi doni.
Il cielo, la terra, l’acqua e la luce, la stessa nostra vita quotidiana, non sono nulla di scontato. E’ per donare che Dio opera sempre,per mantenere ogni ente nell’esistenza e governare il creato,facendolo evolvere secondo la sua misteriosa sapienza, la quale si piega verso di noi quando al mattino affidiamo a Dio la nostra giornata. Terminiamo sempre ricchi di opere rettamente concluse, senza affaticarci troppo. Anche oggi Dio ci ha confermato la sua presenza amica.
Negli Esercizi ignaziani apprendiamo come fare l’esame di coscienza giornaliero. Purtroppo siamo spesso abituati a praticarlo in modo minimal-moralistico, facendo solo una lista dei “panni sporchi”, cioè peccati e difetti, con il proponimento di correggerci. Assurdo pensare di avere in coscienza solo peccati! Certo questo aspetto non può mancare, ma è sconcertante dimenticare i doni di Dio e il bene compiuto durante tutta la giornata, in tutta una serie di piccoli gesti che chiamiamo banalmente buone maniere o buona educazione. In realtà, vengono da Betlemme e sono frutto della croce di Cristo.
Tanto di quel che facciamo, lo compirebbe anche Gesù stesso al nostro posto. Il nostro tempo quotidiano diviene una pagina di storia sacra: di questo è bello fare memoria proprio nell’esame di coscienza serale, perché il peccato originale si manifesta con una tendenza ad obliare il bene compiuto, mentre ingigantiamo i pochi peccati commessi. Un uomo è ciò che ricorda. Si impara a dare primato alla coscienza durante il giorno, e così fare memoria ed Eucarestia, cioè comunione con Gesù, proprio mentre salva il nostro tempo al presente, essendo Dio creatore, cioè comunicatore continuo di vita e di ottimi suggerimenti per un cuore che ascolta.