Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: “È fuori di sé”. (Mc 3, 19-21)
“I suoi” possiamo intendere che sia verosimilmente la famiglia di sangue comunque intesa, perché poi lui farà riferimento alla madre e ai fratelli e le sorelle. Se prendiamo buona la ripresa è la famiglia di sangue che non lo riconosce.
La cosa importante è che dicono “È fuori di sé!”.
È il dramma di non conoscere chi ci sta vicino, di non saper vedere chi ci sta vicino. Noi siamo tutti unici e quindi è difficile riconoscerci nella nostra originalità. L’unicità di Gesù è anche molto particolare. Però è facile incontrare nella vita questa esperienza, la mia vita di sacerdote è veramente un privilegio di conoscenza umana. Faccio un passo indietro perché è un po’ necessario per capire: quando arriva un figlio, tante aspettative vengono spesso proiettate sopra di lui, che però è un dono di Dio, da accettare secondo i suoi piani eterni.
Quello che qualche psicanalista chiamava “il bambino meraviglioso”, idealizzato.
Anche se si è persone che non hanno questa vocazione di idealizzare, però in ogni caso qualcosa bisogna immaginare, sognare. L’operazione dei genitori deve essere poi quella di fare arretrare i loro sogni, per far sì che il bambino colga la propria vita in verità e grazia. Nella scuola noi vediamo in trasparenza situazioni in cui questo non accade, quando i genitori, e sono tanti, vengono e dicono “…pensare che avrebbe già lo studio pronto del padre…” oppure “…l’azienda pronta…” oppure “…io che ero così bravo a calcio, lui è un brocco…” ecc.… . Allora lì vuol dire che l’aspettativa del genitore non è arretrata innanzi alla realtà del figlio che si trova innanzi e questa è un’operazione tremenda, verso la quale bisogna veramente essere vigilanti. È pretendere in qualche modo il possesso della vita degli altri, perché l’abbiamo generata, è esattissimamente il contrario di quello che è il dono della vita: la vita la progetto e la dono io stesso, e poi esigo da colui a cui l’ho donata. Vuol dire non mettersi in ascolto. Invece di sentire se l’altro ha un bene da darmi, io sono sicuro di avere un bene da dargli che è il mio bene, quello che ho sognato per lui. E questa è un’operazione che qui accade all’ennesima potenza. Hanno il Messia: capisco che fosse un po’ difficile da riconoscere, però, voglio dire, non lo vedono…vedono soltanto le loro paure, insomma. (cfr. Padre M.P. Veladio)