La sinfonia dedicata all’assedio nazionalsocialista di San Pietroburgo, ribattezzata Leningrado sotto il regime comunista, apre una serie di ascolti dedicati alla musica sperimentale del Novecento
di Marco Drufuca
L’articolo che segue è il primo di cinque commenti a singoli brani che intendono introdurre all’ascolto di alcune scuole ed estetiche musicali del XX secolo.
Oltre a voler rendere più accessibili e comprensibili nuovi linguaggi, altrimenti apprezzabili solo da “addetti ai lavori”, gli articoli mirano a mettere in luce la condizione spirituale e la ricerca esistenziale che portarono allo sviluppo di sintassi e sistemi musicali nuovi e arditi.
La Settima Sinfonia di Dmitrj Šostakovič presenta la doppia peculiarità di essere scritta in tempo (e in parte in luogo) di guerra e sotto il regime totalitario dell’Unione Sovietica di Stalin, particolarmente inflessibile in campo artistico. Come molte altre opere d’arte fu utilizzata dal regime sovietico nel tentativo di riconquistare il consenso popolare facendo leva sul sentimento nazionale del popolo russo.
La Sinfonia può essere ascoltata CLICCANDO QUI
La nascita della Sinfonia
A poche settimane dallo sconcertante annuncio dell’invasione nazionalsocialista, nel settembre 1941 la città di Leningrado (l’antica San Pietroburgo, ribattezzata Leningrado da Stalin nel 1924, subito dopo la morte di Lenin) si risvegliò assediata: non avrebbe spezzato l’assalto nemico prima del 1944. Il 1° Ottobre Dmitrj Šostakovič fu costretto a fuggire, ma in quel mese aveva lavorato febbrilmente completando i primi tre movimenti di una nuova Sinfonia, che avrebbe dedicato alla città di Leningrado celebrandone l’eroico sforzo difensivo e profetandone la vittoria. Dopo quasi un anno di assedio, la Sinfonia sarebbe stata eseguita nella stessa Leningrado da un’orchestra allo stremo delle forze; il regime si assicurò che anche i soldati tedeschi sentissero le note che rianimavano la città, e che fosse chiaro a tutti che nemmeno il più tremendo degli assedi avrebbe spezzato il popolo russo.
Il linguaggio di Šostakovič
L’uso propagandistico dell’opera di Šostakovič ad opera del regime comunista non deve far perdere di vista la sua peculiarità e il valore del suo autore, un “cronista musicale della nostra epoca, che ci coinvolge immutabilmente nelle catastrofi dell’esistenza contemporanea”, come ebbe a dire la pianista a lui contemporanea Marija Judina.
La guerra, la sua narrazione e trasfigurazione musicale devono essere i primi elementi da tenere in considerazione all’ascolto di questa Sinfonia, che va considerata non tanto in una prospettiva “naturalistica” e descrittiva quanto piuttosto nel suo tentativo di “mostrare lo spirito e l’essenza di quegli aspri eventi”, secondo la dichiarazione dello stesso Šostakovič.
L’estetica real-socialista, predicando “uno stile accessibile con melodie orecchiabili e semplici armonie ottimistiche” (Wilson) costrinse l’autore a un linguaggio accessibile a tutti, e oggi facilmente apprezzabile anche da chi non è avvezzo alla musica avanguardistica e sperimentale del ‘900.
La natura ironica ed ambigua della scrittura di Šostakovič (Esti Sheinberg parla di “ironia esistenziale” come elemento essenziale dell’intera produzione del compositore) porta spesso il discorso musicale a svilupparsi su più livelli, rendendo così difficile dare un’interpretazione univoca delle sue opere. Nel tentativo di offrirne una chiave di lettura, è dunque prudente associarsi a Roy Blokker quando scrive che “per quanto riguarda il vero significato celato dietro la Sinfonia, è una questione cui spetta al singolo ascoltatore giudicare”, fermo restando il contenuto propagandistico e patriottico richiesto dalla circostanza storica e dal regime comunista per questa composizione.
Sinfonia Leningrado
Questa monumentale Sinfonia è suddivisa in quattro movimenti, dei quali il primo è quello che più si avvicina ad un linguaggio narrativo, dipingendo il contrasto tra la vita le popolo prima della guerra e la sua improvvisa e brutale irruzione causata dall’inizio del conflitto.
Celebre e d’interpretazione controversa è l’episodio del “tema dell’invasione” (così denominato dallo stesso autore): da chi sostiene che Šostakovič stesso lo chiamasse in privato tema “anti-stalinista” (Lebedinsky), a chi si spinge fino a chiamarlo “tema del male” (Taam). Molti l’hanno definito tema “banale”, vedendovi rappresentata la “banalità del male” e l’”annichilente stupidità della guerra”. Questa semplice melodia, introdotta e accompagnata da un ostinato di rullante, presto assume caratteri grotteschi e demoniaci. Viene infatti ripetuta ossessivamente per dodici volte in un lento ma inesorabile crescendo, giungendo al suo culmine con la modulazione alla tonalità del tritono, secondo l’armonia classica la più distante e destabilizzante. La guerra è ormai arrivata, e anche i temi che in primo luogo avevano narrato la spensieratezza della vita pacifica ricompaiono sfigurati, privi di quello slancio vitale e sereno che li aveva caratterizzati in precedenza.
Il secondo movimento sembra inizialmente essere improntato a un nostalgico ricordo dei tempi di pace, con richiami ritmici e melodici al primo. Tuttavia questo vagabondare della memoria degenera in una sezione di trio dove si impone “un valzer distorto pieno di dolore e di ansia” (Blokker), dopo il quale il tema iniziale lirico e nostalgico ricompare esposto dal clarinetto basso, che lo rende ben più scuro, inquietante e a tratti disperato.
Il terzo movimento si apre in maniera dialettica, contrapponendo ripetutamente un monumentale e pesante corale a una struggente linea melodica, per fare infine spazio a un terzo tema più pacifico e “bucolico”, esposto dal flauto. Ripreso dagli archi, questo “pacifico tema” porta a una sezione incalzante e ritmica, caratterizzata da un ossessivo uso dei ritmi puntati e sincopati, la cui marzialità è resa ancor più evidente dall’introduzione del rullante. Il culmine di questo episodio tuttavia non aggiunge nessuna novità tematica, ma consiste nella reiterazione, ora ben più maestosa, dei temi iniziali, cui segue la ripresa della prima parte del movimento, seppure con nuove interpretazioni ed elaborazioni del materiale precedente.
L’ultimo movimento è celebrativo dell’“approssimarsi della vittoria” (Blokker). Come il precedente, esso si apre dialetticamente, intervallando un timido ed appena udibile tema dei violini con ben più minacciosi interventi dei violoncelli. Saranno questi ultimi ad avere la meglio, e come dopo vari tentativi un tema incalzante si fa spazio nel magma sonoro. Il carattere incalzante non sfuma se non dopo numerose battute, in una sezione “moderato”, dove non mancano richiami ritmici e melodici ai movimenti precedenti, e che dopo lungo tempo porta a una modulazione a Do maggiore, tonalità di impianto dell’intera Sinfonia. Lentamente, l’andamento disteso viene messo sempre più in dubbio da elementi di inquietudine nell’accompagnamento, e un lungo crescendo dove reminiscenze di materiale tematico pregresso si alternano vorticosamente culmina nell’esposizione del tema principale del primo movimento da parte dei tromboni: la vittoria è finalmente arrivata, la pace ristabilita.
La sinfonia di Šostakovič ripropone la questione se sia possibile l’arte in un ambiente culturale che nega il valore di apertura all’assoluto dell’arte stessa. Per Hans Sedlemayr, ad esempio, è necessario che la cultura riconosca l’esistenza di un “centro” trascendente perché l’opera d’arte possa esercitare questa funzione essenziale di richiamo al senso profondo dell’essere. Tuttavia, anche nel contesto materialista del socialismo reale, può accadere che un’opera generi una vera esperienza artistica al di là delle intenzioni dei suoi interpreti più ortodossi e questo sembra il caso della sinfonia Leningrado di Dmitrj Šostakovič.
Sabato, 15 aprile 2023