Il ciclo di articoli incentrati sull’introduzione ad alcune correnti estetiche della musica del XX secolo prosegue con il Quartetto per la fine del tempo di Olivier Messiaen scritto durante la prigionia nel campo nazista Stalag VIII A, dove si tenne la prima davanti a un pubblico sbigottito di prigionieri e soldati.
Può essere ascoltato al seguente cliccando QUI
di Marco Drufuca
I pilastri dell’estetica di Messiaen sono enunciati nel titolo del sua più ampia opera teorica, il “Trattato sul ritmo, sul colore e sull’ornitologia”, tuttavia questi tre elementi sono comprensibili solo alla luce di un quarto, che li trascende e racchiude: la sua fede cattolica. Messiaen stesso affermò che “L’illuminazione delle verità teologiche della fede Cattolica è il primo, il più nobile aspetto del mio lavoro, senza dubbio il più utile e prezioso, forse l’unico di cui non avrò a pentirmi nell’ora della mia morte”.
Da qui possono essere compresi gli altri tre elementi. Innanzitutto il colore: il compositore francese era uso associare a ogni sonorità un colore ben preciso: “Ho questa strana abilità di vedere complessi di colore, non con gli occhi ma con la mente, mentre ascolto insiemi di note”. Questo impone due considerazioni: innanzitutto, a livello di linguaggio musicale si passa da una conduzione del discorso “narrativa”, fondata sulla creazione e risoluzione di tensioni, a una “contemplativa”, che mira a innalzare quasi luminose vetrate mediante l’accostamento di sonorità-colori. In secondo luogo, questa peculiarità ha un valore teologico, come nota Pascal Ide: “il primato dell’udito conduce a una teologia dell’obbedienza e dall’obbedienza alla fede (fide ex auditu), mentre la supremazia della vista porta a una teologia della Gloria. […] Le sue opere offrono, dunque, alla luce tutto il suo valore analogico. […] Messiaen è il musicista dell’abbagliamento”. Tali considerazioni acquistano particolare valore se si considera che lo stesso compositore affermò di aver letto e apprezzato l’Estetica Teologica di Hans Urs von Balthasar, che proprio nelle nozioni di analogia e di Gloria trova il suo fondamento.
A partire dalla sua fede e dall’amore per la natura come Creato di divina fattura, Messiaen trovò negli uccelli dei maestri impareggiabili di cui passava ore a trascrivere i canti, canti che impiegò sempre più nelle sue composizioni fino ad arrivare a definire un vero e proprio “stile oiseaux” e a scrivere interi brani basati unicamente sulla sovrapposizione e alternanza di canti di uccelli.
Veniamo così all’ultima caratteristica saliente del linguaggio di Messiaen, il ritmo, inteso in tono polemico rispetto alla tradizione occidentale. Secondo lui “I compositori classici, nel senso occidentale del termine, sono stati pessimi ritmici, o meglio compositori che non sapevano nulla di ritmo”, colpevoli di averlo ridotto a una mera alternanza cadenzata e regolare di accenti che condanna ogni brano a una monotonia da marcia militare. Il ritmo di Messiaen è invece qualcosa di imprevedibile e vitale, vario proprio come quello degli uccelli. Inoltre, esso è per il compositore lo strumento attraverso cui è possibile manipolare il tempo e portare come un riflesso di eternità in questo mondo, capacità che pone l’artista su un piano superiore tanto rispetto allo scienziato quanto rispetto al filosofo .
Molto ha scritto Messiaen sulle sue tecniche e innovazioni; era tuttavia consapevole, e noi con lui, che qualsiasi ascoltatore “non avrà tempo, durante il concerto, di verificare le non-trasposizioni e le non-retrogradazioni, e, in quel momento, queste questioni non l’interesseranno più: essere sedotto sarà il suo unico desiderio. Ed è precisamente questo che accadrà, subirà suo malgrado il particolare fascino delle impossibilità. […] Sarà dunque progressivamente introdotto a questa sorta di “arcobaleno teologico”, simbolo del linguaggio musicale del quale ricerchiamo edificazione e teoria.”
Il Quatuor pour la fin du temps
Scritto per pianoforte, violino, violoncello e clarinetto, il Quartetto è suddiviso in otto movimenti, brevemente commentati nella prefazione autografa. Il linguaggio di questo quartetto, come ebbe a scrivere lo stesso Messiaen, “è essenzialmente immateriale, spirituale, cattolico”, volto ad “avvicinare l’ascoltatore all’eternità”. Lo stesso numero di movimenti non è casuale: “Sette è il numero perfetto; […] il sette del riposo si prolunga nell’eternità e diviene l’otto della luce indefettibile, della pace inalterabile”.
Salvo dove diversamente indicato, le citazioni da qui in avanti saranno tratte dalla prefazione originale.
Liturgie de cristal, “il silenzio armonioso del cielo”. Violoncello e pianoforte reiterano senza soluzione di continuità cellule ritmiche, melodiche e armoniche mentre clarinetto e violino intonano canti di uccelli, “cantori della gloria futura”. Per usare una fortunata espressione di Anthony Pople, ascoltando questa pagina si ha la sensazione di origliare per qualche minuto qualcosa di perpetuo ed eterno.
Vocalise, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps. Di forma tripartita (A-B-A’), questo movimento presenta nelle sezioni esterne “la potenza di questo forte Angelo”, mentre nella parte centrale si fa largo una placida melodia “quasi gregoriana” (il vocalise vero e proprio) intonata da violino e violoncello e immersa in un’aurea eterea creata da “dolci cascate di accordi blu-arancio” del pianoforte.
Abîme des oiseaux. Questa splendida pagina per clarinetto solo contrappone all’Abisso, ossia al Tempo “con la sua stanca tristezza”, il canto degli uccelli, che incarnano “il nostro desiderio per luce, stelle, arcobaleni e canti gioiosi”. A pesanti sezioni “lento, espressivo e triste” si alternano vivi frammenti di canti di uccelli, preceduti e introdotti da una lunghissima nota tenuta eseguita in un crescendo “senza spingere, progressivo e pulsante”.
Intermède. Tre temi “superficiali”, con un linguaggio ritmico e melodico molto prossimo a quello della tradizione classica occidentale, si alternano intrecciandosi a frammenti di canti di uccello in un movimento di cesura (appunto, “intermezzo”) che divide in due metà esatte il Quartetto.
Louange à l’Éternité de Jésus. In questo movimento, che il compositore chiede che sia suonato con un tempo “infinitamente lento, estatico”, il violoncello innalza una melodia quasi di preghiera che “magnifica con amore e riverenza l’eternità del potente e dolce Verbo”, accompagnato da accordi cadenzati e ribattuti del pianoforte.
Danse de la fureur, pour les sept trompettes. Questo movimento di “formidabile granito sonoro” ed “enormi blocchi di furia viola” riprende materiale tematico da intermède, pur trasfigurandolo nettamente: i quattro strumenti suonano all’unisono, violentemente, con un andamento ritmico ossessivo e allo stesso tempo imprevedibile, evocando immagini apocalittiche dove le trombe angeliche preannunciano catastrofi e “la consumazione del mistero di Dio”.
Fouillis d’arcs-en-ciel, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps. Questo complesso movimento, l’unico dove secondo Anthony Pople “la contemplazione è subordinata alla rappresentazione di eventi in una sequenza definita”, è strettamente legato al secondo. Un primo tema, melodicamente nuovo ma non privo di richiami al Vocalise, si alterna e mischia gradualmente con un secondo, composto invece da citazioni letterali. Ricompaiono anche gli “accordi blu-arancio”, tuttavia non sono più “dolci cascate”, ma “colate laviche” che dipingono il “guazzabuglio” di arcobaleni che accompagna l’Angelo apocalittico.
Louange à l’Immortalité de Jésus: similmente all’altra louange del Quartetto, in questo movimento “estremamente lento e tenero, estatico” il violino intona una melodia di lode al Verbo incarnato: “è tutto amore. La lenta ascesa verso un registro estremamente alto è l’ascesa dell’uomo verso il suo Dio, del Figlio di Dio verso il suo Padre, della creatura divinizzata verso il Paradiso”
Sabato, 3 giugno 2023