In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.
Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». (Lc 21,34-36)
Quante persone assumono alcol per sentirsi sollevati da una situazione insoddisfacente, ma poi cadono a terra. Da un certo punto di vista siamo tutti coinvolti. A volte abbiamo paura, ci fermiamo nella cantina del mondo a bere tutto quello che ci offre per dimenticare la morte. Il primo segno è l’instabilità, il passare da un interesse all’altro.
Oppure si assume una ricerca del divertimento a tutti i costi pur di ridere e stare in allegria. È la vita triste di chi finisce per dimenticare che l’importante è ciò che ci aspetta oltre la morte.
Chi si ubriaca cerca di dimenticare. L’ansioso invece si ricorda di tutto, sta in agitazione per ogni piccolezza, perde le proporzioni delle cose, finisce per trasformare eventi insignificanti in questioni di vita o di morte e dimentica ciò che veramente conta nella vita. Chi adempie al proprio dovere entra nella vita eterna carico di buone opere, ma chi troppo vuole dal suo dovere, alla fine nulla stringe e dimentica anche i buoni motivi delle sue scelte.
Il riposo domenicale è un’eredità del pensiero ebraico. Dopo sei giorni di lavoro ci è data la possibilità di fermarci e gustare tutto il bene prodotto nella settimana e soprattutto riflettere sulla vita futura. Il settimo giorno della settimana – nell’antico Israele era il sabato, oggi la domenica per ricordare il giorno della risurrezione di Cristo – secondo tanti autori spirituali deve ricordarci l’ottavo giorno, la vita dopo la resurrezione dei morti, l’eternità.