Il ciclo di articoli incentrati sulla musica dello scorso secolo si conclude con uno dei capolavori della musica contemporanea: il Lamento di Adamo del compositore estone Arvo Pärt (1935 – ).
di Marco Drufuca
Nello scorso articolo è stata trattata la nascita del linguaggio dodecafonico, e si accennava brevemente ad alcuni degli sviluppi cui questa novità avrebbe portato, citando il cosiddetto serialismo integrale. Questi fenomeni hanno dato inizio a un progressivo allontanamento della musica “classica” dalla ricerca del bello, a favore di composizioni sempre più legate a elucubrazioni concettuali operate da piccoli circoli elitari che hanno generato una musica incapace di parlare al “cuore” delle persone e apprezzata tutt’al più da pochi cultori più per la sua dimensione “cerebrale”.
Questo articolo conclusivo tenta di mostrare come la via della bellezza non sia affatto morta, e possa anzi essere percorribile ancora ai giorni nostri come accade con l’opera di Arvo Pärt.
Arvo Pärt nasce nell’Estonia sovietica del 1935, e, dopo una prima parte della carriera in cui fece largo uso delle tecniche dodecafoniche, entra in una profonda crisi, durante la quale per diversi anni non riuscì a comporre quasi nulla. I linguaggi contemporanei non erano in grado di soddisfare la sua ricerca estetica e spirituale, così, anche grazie allo studio delle origini della musica occidentale, dopo un lungo e laborioso silenzio arrivò a formalizzare una nuova tecnica, chiamata tintinnabuli, che di lì in poi avrebbe caratterizzato la sua musica.
La nuova tecnica, ispirata al ritorno all’oggettività dell’arte e della bellezza, si inserisce nella vasta e generalizzata reazione agli eccessi espressionistici che avevano connotato l’arte della prima metà del secolo, così come un ritorno al gusto per la semplicità, che in questo accomuna Pärt alle correnti minimaliste coeve. Grande fonte di ispirazione è il repertorio Gregoriano e anche il linguaggio tonale viene riesumato, anche se trattato in maniera nuova: spesso viene meno l’elemento “funzionale” dell’armonia, ossia il concatenarsi di accordi secondo una logica “discorsiva” fondata sulla preparazione e risoluzione delle dissonanze, in favore dell’esplicitazione delle potenzialità di un solo “accordo” (triade) lungo tutto il brano.
La tecnica tintinnabuli è sostanzialmente fondata su due linee che costituiscono un’unità inscindibile: una linea “melodica”, che si muove sostanzialmente su scale proprie della tradizione tonale, e una seconda voce che vi si sovrappone, commentando con suoni propri di una sola triade. Così, l’intero brano, o almeno ogni sua sezione, è come attraversato dalla continua risonanza di questo accordo fondamentale, del quale di volta in volta vengono apprezzate diverse sfumature e armonici: di qui il legame –più o meno metaforico- con il suono delle campane, richiamate dal nome stesso della tecnica.
Il Lamento di Adamo
Il testo del Lamento di Adamo è di Silvano del Monte Athos (1866 – 1938), venerato santo dalle Chiese Ortodosse cui Pärt non ha mai fatto mistero di appartenere (nemmeno quando ciò avrebbe significato inimicarsi le autorità sovietiche, come mostra lo scompiglio che creò la prima esecuzione pubblica del suo Credo nel 1968), e descrive lo struggimento di Adamo per il male commesso nel peccato. Tale dolore non si arresta tuttavia alla singola vicenda del primo uomo, ma si estende su tutta l’umanità che ne discende: “Adamo provò gran dolore quando fu bandito dal Paradiso, ma quando vide suo figlio Abele assassinato dal fratello Caino, Adamo soffrì ancora di più. La sua anima era pesante, ed egli si lamentò e pensò: -Popoli e nazioni discenderanno da me, e si moltiplicheranno, e la sofferenza sarà il loro destino, e vivranno in discordia, e cercheranno di uccidersi l’un l’altro-”. Tuttavia, il testo, pur nella sua tragicità, non manca di chiudersi con un anelito di speranza e di affidamento alla misericordia divina: “Anche io ho perso la grazia, e con Adamo imploro: -Sii misericordioso con me, Signore! Donami lo spirito dell’umiltà e dell’Amore-“
Similmente, la musica segue e interpreta la mestizia e il dolore del progenitore: così, malinconia per la beatitudine perduta ed esclamazioni di dolore si avvicendano, fino alla drammatica constatazione del male cui l’umanità intera si è condannata nel suo progenitore, commentata da stridenti dissonanze nelle sezioni degli archi. Non è quella però l’ultima parola: un’ultima, graduale ascesa di tutte le voci eleva la preghiera finale dell’uomo verso Dio, chiudendo il brano su un accordo che risolve in sé tutte le dissonanze precedenti, affidando l’umanità ferita alla misericordia divina.
In questo brano risaltano alcune caratteristiche proprie dello stile di Pärt: oltre alla tecnica tintinnabuli, l’attenzione e l’uso del silenzio nella trama musicale dell’opera e la costruzione delle linee melodiche operata a partire dalle caratteristiche proprie del testo, che conferisce reciprocità e unitarietà ai due elementi della composizione, la caratterizzano come opera esemplare e particolarmente riuscita di questo amante della bellezza dei giorni nostri.
Sabato, 2 dicembre 2023