di Cristina Cappellini, da Cremona Sera dell’8 marzo 2024
Solo pochi giorni fa abbiamo visto migliaia di donne scendere in piazza a Parigi per inneggiare al nuovo “diritto all’aborto” introdotto nella Costituzione francese su input del Presidente Macron in persona. Persino la Tour Eiffel è stata illuminata con scritte del tipo “Mio il corpo, mia la scelta”.
La domanda sorge spontanea: in un Paese in cui la legge sull’aborto non è mai stata messa in discussione, nemmeno dalla destra (o presunta tale) di Marine Le Pen, era così necessario modificare la Costituzione per cristallizzare (alla stregua di un diritto) la possibilità di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza?
Lungi da me esprimere un giudizio su chi decide per qualsiasi motivo di abortire (il cristianesimo, per quel poco che ne è rimasto in questo mondo secolarizzato, mi ha insegnato a condannare il peccato e non il peccatore) ma quello che è un atto politico, o meglio ideologico, mi spinge a una riflessione sul significato dei cosiddetti “diritti” delle donne e su come ci vengono presentati oggi, nella nostra società, alla vigilia di un nuovo 8 marzo.
Non penso proprio, e lo dico da donna, che l’universo femminile possa brillare se una delle sue priorità risiede nella libertà costituzionale di impedire ai propri figli di nascere e crescere.
E non penso nemmeno che la (parimenti ideologica) battaglia contro il cosiddetto “patriarcato” sia la strada per scongiurare violenze e abusi sulle donne, soprattutto se le donne che scendono in piazza contro la violenza di genere sono le stesse che inneggiano alla libera uccisione dei bambini nel ventre materno. Perché è difficile negare che un feto fatto a pezzi da una pompa aspiratrice sia una forma di violenza brutale, peraltro sul più indifeso degli essere viventi.
Fatta questa premessa e mentre elaboravo queste riflessioni, ho ricevuto una mail dalla Fondazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre” che mi ricordava l’attuale condizione femminile in alcuni Paesi come, ad esempio, la Nigeria e il Pakistan, dove giovani donne cristiane subiscono costantemente abusi e vessazioni di ogni tipo, nell’indifferenza dell’Occidente. Mi viene da specificare: da un Occidente troppo impegnato a inserire l’aborto tra i diritti costituzionali e a debellare il famigerato patriarcato a suon di slogan e di sterili proclami contro l’universo maschile, come se tutti gli uomini in quanto tali fossero potenziali assassini e stupratori.
E mentre leggo la suddetta mail vengo a conoscenza della storia di Deborah Samuel Yakubu, una studentessa nigeriana di 22 anni, lapidata dai compagni di classe che l’hanno accusata di aver scritto un messaggio blasfemo su Whatsapp. E poi conosco Sonia Bibi, donna pakistana di 24 anni, uccisa da un uomo mentre aspettava l’autobus perché rea di essersi rifiutata di convertirsi all’Islam e di sposarlo. Tra le innumerevoli donne cristiane vittime del fondamentalismo islamico ci sono ogni giorno catechiste, consacrate o madri di famiglia come Ranya Abd al-Masih, rapita e costretta a convertirsi. Per non parlare del fenomeno ancora diffuso delle “spose bambine”. Innocenti che, solo perché donne e cristiane, subiscono costantemente violenze atroci e discriminazioni di ogni tipo, in molte parti del mondo, nell’indifferenza delle femministe à la carte.
E così, anche questo 8 marzo, nell’Occidente libero e progredito (ma secondo qualcuno schiavo del “patriarcato”) pub, pizzerie e locali notturni saranno presi d’assalto da gruppi di donne inneggianti ai propri diritti e ai propri spazi (per molte s’intendono anche gli spazi su Onlyfans) a suon di spritz o di slogan vetero sessantottini quali “mio il corpo, mia la scelta”. Incuranti di quelle donne che, a migliaia di chilometri da loro, lottano davvero tutti i giorni, resistendo a sopraffazioni di ogni tipo, per difendere la propria vita e la propria libertà. E soprattutto per poter essere semplicemente quello che sono: donne, mogli, madri.
Venerdì, 8 marzo 2024