« Giovanni gli disse: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Ma Gesù disse: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi » (Mc 9,38-40).
Sia il termine missione che il termine tradizione infatti significano una stessa realtà: trasmettere agli altri quello che noi, a nostra volta abbiamo ricevuto. Alla proposizione «tutto cambia», non si deve contrapporre la proposizione contraria «tutto non cambia», ma la contraddittoria «non tutto cambia».
Così il cristiano è in grado di riconoscere la stessa fede e le stesse realtà anche in formulazioni diverse. Sia i fissisti che i progressisti mancano di intelligenza. Gli uni negando l’evidenza della storia della Chiesa che ci mette davanti a cambiamenti continui. Gli altri negando l’identità che c’è attraverso i cambiamenti e rimanendo prigionieri delle forme sensibili. Anche la Scrittura, letta senza questa intelligenza è piena di contraddizioni. Per es.: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12,30) e «chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,40).
Oppure «l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede» (Gal 2,16) e «l’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede» (Gc 2,24). Ma si potrebbero portare una infinità di esempi! È chiaro – e si può dimostrare – che le parole nell’uno e nell’altro testo non hanno lo stesso significato. Per arrivare a ciò però ci vuole l’intelligenza di distinguere la parole (come suono e come segno) dal suo significato. Se voi cercaste di dimostrare ad un uomo di quarant’anni che non è più lui quando aveva sei anni, mostrandogli delle fotografie (testimonianze inoppugnabili!) o dei certificati sulla sua statura o testimonianze sul suo carattere diverso, ecc. perdereste il vostro tempo.
«No No, io sono sempre io!» ripeterebbe imperterrito. Non c’è testimonianza che tenga contro il senso della propria identità che sta a monte di qualunque ragionamento. Se un uomo perde il senso della propria identità, allora vuol dire che è affetto da una grave malattia psichica. Così anche la Chiesa ha il senso della propria identità. L’organo che ne è garante è il magistero. In caso di dubbio il fedele non deve fidarsi del proprio modo di vedere privato, ma affidarsi al magistero che sa distinguere con sicurezza se una forma, un rito, una espressione, un comportamento significano ancora la fede oppure no.
Non è detto che una forma o una espressione decise dal magistero siano sempre il meglio che si può fare in quel contesto. Così come un maestro non trova sempre le parole le più adatte per spiegare. L’importante però è capire e sarebbe sciocco che uno scolaro rifiutasse l’insegnamento con questo pretesto! Un capo va obbedito anche quando si potrebbe immaginare un ordine migliore (col rischio di sbagliare anche noi nel giudicare così…). Quando il magistero decide qualcosa per tutta la Chiesa sappiamo che non può tradire la sua identità e tanto basta.
Camminiamo perciò con fiducia incontro al Signore che viene, consapevoli che il demonio ci tenta in tanti modi: suggerendoci di fermarci e guardare indietro per farci diventare statue di sale (cfr. Gen 19,26) oppure di correre all’impazzata senza preoccuparci che la direzione sia giusta, vera e buona.
Il Santo del giorno: San Gabriele dell’Addolorata, religioso