Il ciclo di articoli sulla Storia della Musica Sacra occidentale prosegue affrontando la nascita e i primi sviluppi della scrittura musicale europea.
di Marco Drufuca
Nel tentativo di comprendere l’universo estetico e valoriale del canto ecclesiastico medievale, non si può prescindere dalle vicende relative allo sviluppo della notazione musicale. Ogni sistema di scrittura, infatti, è foriero di informazioni circa il panorama estetico dal quale trae origine, e allo stesso tempo ogni sostanziale cambiamento nel sistema di notazione ha sempre comportato una rivoluzione nella comprensione e nella pratica musicale stessa.
Per un corretto approccio alla questione, è bene innanzitutto sforzarsi di abbandonare alcune categorie moderne per tentare di comprendere e abbracciare quelle dell’epoca.
Innanzitutto, al giorno d’oggi viene spontaneo pensare che il principale scopo di un sistema di notazione musicale sia la determinazione esatta delle note da eseguire e del loro ritmo. Ebbene, fino al X-XI secolo, nessuna di queste preoccupazioni risultò prioritaria, almeno non nel contesto dei libri liturgici. Più che alle singole note, l’attenzione dell’epoca era riservata alla melodia nel suo insieme, specie nel suo rapporto con il testo e con l’azione sacra.
Inoltre, è bene ricordare che i cantori dell’epoca erano abituati a ricorrere alla memoria per l’esecuzione dei canti o, secondo altre teorie, a ricostruire l’andamento del canto mediante formule e cadenze note. Non era dunque necessario scrivere informazioni precise nota per nota, piuttosto occorreva indicare la maniera migliore in cui una determinata melodia dovesse essere cantata.
Discorso simile si può fare con il ritmo, che in buona parte era deducibile dal testo musicato, senza necessità di ulteriore esplicitazione.
Ciò che realmente premeva agli scribi dell’epoca dunque era il modo in cui la melodia sarebbe stata messa al servizio del testo e dell’azione sacra. È bene a tal proposito avere consapevolezza della grande importanza che si attribuiva al canto e alla lettura durante la liturgia: era infatti in gioco tanto il rispetto nei confronti della Parola di Dio quanto l’edificazione spirituale dei fratelli convenuti alla celebrazione. Non a caso, in epoca carolingia si ripresero con forza le indicazioni della Regola di San Benedetto (480-547), che prevedevano addirittura che quanti avessero commesso errori nella lettura o nel canto facessero ammenda pubblica.
Piuttosto che indicare specifiche note, dunque, le prime forme di notazione erano volte a dare indicazioni su elementi quali la divisione della melodia tra le sillabe, il timbro, l’agogica (ossia le variazioni di tempo) e la pronuncia.
Comparvero così nella prima metà del IX secolo (o, secondo una minoranza di studiosi, già nell’VIII secolo) i primi neumi, segni tracciati sopra le parole nei libri liturgici. A differenza della notazione odierna, dove a ogni segno corrisponde una nota, ciascun neuma poteva rappresentare più note in successione, senza tuttavia esprimere con esattezza gli intervalli. Per fare un esempio, il neuma chiamato scandicus indicava di eseguire tre note ascendenti, ma di norma non era in grado di indicare la distanza esatta tra tali suoni: così, con lo stesso neuma si poteva rappresentare sia la successione DO-RE-MI che quella DO-RE-FA. Se è vero che oggi questo sistema risulta di difficile decifrazione, per il cantore dell’epoca era perfettamente in grado di rappresentare tutte le informazioni necessarie.
Ai neumi semplici, forieri di indicazioni sul contorno melodico e sulla divisione della melodia su ogni sillaba, si aggiungevano poi ulteriori segni, che integravano ulteriori istruzioni circa gli accorgimenti necessari da parte del cantore. Si tratta delle litterae significativae, ossia singole lettere che, poste tra i neumi, esprimevano istruzioni circa il carattere, l’agogica, e talvolta anche alcune indicazioni circa la melodia. Per esempio, la lettera C stava per ‘celeriter’, indicando dunque di accelerare il tempo, mentre T, significante ‘tenete’, imponeva l’opposto. Più specifici sulla pronuncia e sul timbro erano poi ineumi speciali, come per esempio il quilisma, che indicava di cantare un passaggio melodico con una sorta di tremolio della voce.
Con l’aggiunta delle litterae significativae e dei neumi speciali, la primitiva notazione ecclesiastica mostrava non solo di avere una funzione descrittiva, ossia di raffigurazione di melodie già conosciute con lo scopo di richiamarle alla memoria, ma anche una prescrittiva, ossia foriera di istruzioni circa il modo in cui il brano andasse cantato.
Quali fattori resero possibile l’introduzione di un sistema di notazione in Occidente? In primo luogo, è necessario considerare il contesto culturale più ampio, con gli sforzi della dinastia Carolingia di alfabetizzazione del clero e della classe dirigente e la rinnovata attenzione alla scrittura, anche in ambito verbale.
In secondo luogo, è bene anche ricordare il fatto che tra l’VIII e il IX secolo le riforme Carolingie avevano tentato di ‘importare’ da Roma un canto estremamente diverso da quello locale, operazione che, nel contesto della tradizione orale dell’epoca, aveva dovuto affrontare enormi difficoltà.
È dunque possibile che da una parte si avvertisse l’esigenza di sviluppare una scrittura che permettesse di dare indicazioni certe sul modo in cui le melodie andassero cantate, e dall’altra di uno strumento che aiutasse a richiamare alla memoria i lineamenti melodici del repertorio recentemente introdotto nella pratica ecclesiastica imperiale.
Vi sono tuttavia casi, come quello di alcuni manoscritti dell’area di Benevento, in cui si ritiene che alcuni canti venissero notati non perché nuovi, ma al contrario perché risalenti alle tradizioni locali e minacciati dall’imposizione del nuovo Canto Gregoriano: in tali casi isolati, la scrittura doveva servire come strumento per la preservazione del patrimonio, piuttosto che per l’introduzione del nuovo repertorio.
In conclusione, la notazione neumatica del IX-X secolo mostra con rinnovata chiarezza quale fosse la concezione del valore della musica applicata alla liturgia dell’epoca: un potente mezzo di risonanza della Parola di Dio, capace di destare i cuori all’ascolto e alla contemplazione dell’autentica Bellezza, nonché una componente fondamentale della lode umana al Dio cristiano, a patto tuttavia che ogni aspetto del canto fosse teso al servizio dell’azione liturgica. A tal fine si sviluppò la prima notazione musicale, e proprio quando questa unità sarebbe venuta meno si sarebbe consumato il primo “divorzio” tra l’arte musicale e la liturgia cattolica.
Sabato, 16 agosto 2025
