Di Andrea Morigi da Libero del 13/04/2019. Foto redazionale
Ormai la guerra libica sfiora l’Italia. A rischio, dopo il bombardamento avvenuto ieri a circa 25 km dagli impianti petroliferi di Mellitah, ci sono le attività dell’Eni, che peraltro «proseguono regolarmente» poiché le azioni militari «erano dirette a una vecchia caserma delle milizie di Zwara», riferisce un portavoce della compagnia.
Si stanno avvicinando pericolosamente. Ieri un caccia dell’Esercito nazionale libico, che fa capo al generale Khalifa Haftar, ha bombardato un campo di milizie alleate del premier del Governo di Accordo Nazionale, Fayez al-Serraj a Zwara, a ovest di Tripoli verso il confine tunisino. Ed è più che sufficiente a far sì che a Roma il presidente del Consiglio Giuseppe Conte convochi un vertice con il ministro degli Esteri Enzo Moavero , il ministro della Difesa Elisabetta Trenta, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, e i vertici dell’intelligence italiana. Al termine, viene varato un Gabinetto di crisi che avrà funzione di coordinamento e sarà attivo fino a quando la crisi libica non sarà rientrata. La struttura sarà a disposizione di tutti i ministeri coinvolti.
Poi Conte, non sapendo più a che santo votarsi, telefona alla cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma sono «continui» anche i contatti dello staff diplomatico di Palazzo Chigi con gli Usa, la Francia e i principali attori internazionali.
A contribuire alle preoccupazioni di Roma si aggiunge un’altra indiscrezione, diffusa ieri da La Repubblica: alcuni emissari di Khalifa Haftar sarebbero stati ricevuti il 4 aprile scorso a Parigi, poco prima dell’inizio dell’offensiva sulla capitale libica.
LA CONTROPARTITA
Dal Quai d’Orsay smentiscono con poca convinzione: «Come i nostri partner, parliamo con tutte le parti del conflitto in Libia, al fine di ottenere un cessate il fuoco.
Non siamo mai stati avvisati di un’offensiva su Tripoli, che abbiamo condannato sin dal suo inizio», afferma un portavoce del ministero degli Esteri francese.
Lo capiscono perfino
all’Eliseo che, per convincere un militare a concedere una tregua, occorre una
contropartita e infatti il presidente francese giovedì ha bloccato una
dichiarazione dell’Unione Europea che esortava il generale a interrompere l’offensiva
contro Tripoli e il governo riconosciuto dalla comunità internazionale.
In realtà Parigi ha poi precisato il proprio intento, che mirava a rafforzare
tre punti del documento: lo status dei migranti, il coinvolgimento nei
combattimenti in Libia di gruppi sotto sanzioni Onu per terrorismo e i modi per
raggiungere una soluzione politica appoggiata dall’Onu.
Comunque, fino a quando non avrà ottenuto il potere, Haftar non arrresterà certo l’avanzata delle sue truppe, alla cui testa ha posto il figlio maggiore Khalid e il secondogenito Saddam. Anche per lui vale la dottrina di Von Clausewitz: «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi». Se non fosse stato in grado di conquistare la capitale, non avrebbe lanciato un attacco in cui sta giocandosi tutto, grazie innanzitutto ai finanziamenti sauditi, riferisce il Wall Street Journal citando fonti di Riad, da «decine di milioni di dollari» per sostenere l’offensiva del generale Haftar. Non può più permettersi di ritirarsi perché la sua strategia non è limitata allo sforzo bellico.
IL PREDESTINATO
Nel frattempo, il comandante in capo dell’Lna prepara in gran segreto l’ascesa di un altro suo figlio, Elseddik.
Finora risulta un perfetto sconosciuto per le cancellerie occidentali e il motivo per cui rimane nell’ombra è il suo ruolo, ancora più centrale rispetto ai fratelli: è candidato a diventare il presidente di una Libia finalmente unita sotto un unico pugno di ferro. Come ai tempi del colonnello Gheddafi.