Di Andrea Morigi da Libero del 17/04/2019. Foto redazionale
Dobbiamo stare attenti
perché «oggi ci sono più di 400 prigionieri dell’Isis detenuti fra Tripoli e
Misurata, la comunità internazionale lo sa», ricorda il vicepresidente del
consiglio presidenziale libico, Ahmed Maitig, incontrando la stampa estera a
Roma. Se la guerra continua «può succedere qualcosa di peggio», avverte.
Sono diversi gli scenari possibili. Il primo è che gli ex combattenti del
Califfato potrebbero essere inquadrati militarmente e unirsi ai difensori di
Tripoli contro l’attacco delle truppe di Khalifa Haftar. Al governo di Accordo
Nazionale guidato da Fayez Al Serraj farebbe comodo avere un po’di carne da
cannone addestrata e abituata al campo di battaglia. Dispongono già di un
piccolo contingente di reduci di Al Qaeda, del resto.
L’Isis, comunque, che nel 2015 aveva innalzato il proprio drappo nero a Sirte, la città natale di Muammar Gheddafi, non è stata del tutto sconfitta dai raid americani e dalle milizie locali che hanno ripreso il controllo del centro abitato nel 2016. Il 9 aprile scorso i terroristi islamici hanno rivendicato l’attacco compiuto la notte precedente da un gruppo di uomini armati nel villaggio di Al Fuqaha, nel distretto di Giofra, nella Libia centrale, a circa 600 km da Tripoli, in una zona controllata dalle milizie di Haftar. Gli assalitori, arrivati dopo mezzanotte a bordo di una quindicina di mezzi, avevano assassinato tre persone, fra le quali il presidente del Consiglio locale del villaggio, e rapito una quarta persona.
IL RISCHIO KAMIKAZE
Ma l’ipotesi più preoccupante è che l’una o l’altra parte in conflitto potrebbero tentare di vendicarsi contro gli Stati che sostengono gli avversari. Tanto più che il vicepremier Matteo Salvini riferisce che Maitig gli ha confidato una cifra anche più alta, circa 500, di terroristi islamici attualmente in carcere.
Ci vuole poco a sguinzagliarne qualcuno che, in cambio della libertà, sarebbe felice di arrivare nel Vecchio Continente per farsi saltare in aria, magari proprio alla vigilia delle elezioni europee.
È un’eventualità che Oltralpe giudicano piuttosto probabile visto che «non a caso la Francia ha chiesto ufficialmente di prorogare la chiusura delle frontiere con l’Italia per altri sei mesi (per “emergenza nazionale” legata al terrorismo)», fa sapere il Viminale. L’allarme riguarda tutti e, se tuteliamo i nostri vicini, non è per poi dover gestire un via-vai dei jihadisti del Califfato. Il premier Giuseppe Conte non usa mezzi termini: «Siamo molto preoccupati per la crisi in Libia, abbiamo lavorato e stiamo lavorando per scongiurare una crisi umanitaria» che «potrebbe esporre al rischio che qualche foreign fighter» arrivi sul nostro territorio o in quello europeo.
La battaglia di
Tripoli intanto infuria e dal 4 aprile ha provocato almeno 174 morti e 758 feriti,
secondo il bilancio fornito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità,
spingendo oltre 18mila persone a lasciare le proprie abitazioni. Gli scontri
sono ancora in corso con armi pesanti a Bab al-Azizia, a sud della capitale,
riferisce la tv saudita Al-Arabiya.
ARRIVA L’ONU
Gli sforzi diplomatici
per fermare il conflitto proseguono con u na bozza di risoluzione sulla Libia,
presentata al Consiglio di sicurezza dell’Onu dal Regno Unito, che chiede un
cessate-il-fuoco immediato. Il testo afferma che l’offensiva su Tripoli
lanciata dalle forze leali a Khalifa Haftar «minaccia la stabilità della
Libia». La risoluzione chiede «una soluzione politica alla crisi» prospettando
un «dialogo politico agevolato dalle Nazioni unite». Il Consiglio Onu «chiede a
tutte le parti in Libia una de-escalation immediata della situazione, l’impegno
per un cessate il fuoco, e di impegnarsi con le Nazioni Unite per garantire una
cessazione delle ostilità completa in tutto il territorio della Libia».
Il Regno Unito ha fatto circolare
il testo lunedì sera e un primo round di negoziati si è tenuto ieri. Resta però
poco chiaro quando il Consiglio Onu dovrebbe votare sulla bozza, ma i
diplomatici hanno chiesto un’azione rapida per evitare una guerra totale a
Tripoli. Le risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza sono legalmente
vincolanti.