« Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente e portò di là anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: “Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora”. Giacobbe rispose: “Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!”. Gli domandò: “Come ti chiami?”. Rispose: “Giacobbe”. Riprese: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”. Giacobbe allora gli chiese: “Svelami il tuo nome”. Gli rispose: “Perché mi chiedi il nome?”. E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: “Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva”. Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all’anca. Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra l’articolazione del femore, perché quell’uomo aveva colpito l’articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico » (Gen 32,23-33).
Giacobbe sta fuggendo davanti al fratello Esaù e deve attraversare lo Iabbok, un affluente orientale del fiume Giordano. Il guado di un fiume è cosa difficile e faticosa, soprattutto quando non si è soli, ma si ha con sé una carovana imponente: mogli, figli, servi, bestiame grosso e minuto…
Giacobbe lavora tutto il giorno e alla fine è stanchissimo, spossato. Ma il pericolo persiste: il fratello è alle calcagna con un piccolo esercito. Che cosa succederà? Sarà per lui la fine? Ha trascinato i suoi cari in una avventura senza uscita?
Qui si situa un episodio assai misterioso – che ha sollecitato in modo speciale l’attenzione di commentatori, teologi e anche pittori e scultori –, Giacobbe infatti, anziché seguire i suoi al di là dal fiume, si trattiene nel silenzio e nella solitudine della riva ormai rimasta deserta e, nel buio della notte, si trova a lottare con un uomo. Ma è proprio solo un uomo?
Che cosa successe quella notte sulla riva destra dello Iabbok? Il libro della Sapienza ci mette sulla strada: “gli assegnò la vittoria in una lotta dura, perché sapesse che la pietà è più potente di tutto” (10,12). Stanco, sfinito, dopo la dura fatica del guado Giacobbe avrebbe potuto riposarsi, come facevano tutti gli altri.
Invece si rivelò per quell’uomo di fede tenace che era: cercò la solitudine e il silenzio e si mise in preghiera. Era “una lotta dura”, perché il sonno lo assaliva e a volte pareva vincerlo, ma soprattutto erano i mostri dello scoraggiamento, della sfiducia, della paura che si avventavano su di lui e lo lasciavano pieno di ferite.
La preghiera molto spesso non è “tranquilla”, è drammatica. È grido, invocazione, lacrime, battaglia… Essa lascia al nostro eroe addirittura un segno nella carne: la slogatura all’articolazione del femore.
Giacobbe cercava una sola cosa: la benedizione, cioè la parola rassicurante, trasformante, efficace di Dio. Essa venne e gli cambiò il nome, cioè la sua stessa vita…
Il Santo del giorno: Santi Martiri cinesi