di Lucia Menichelli
Cuore, mio cuore, straziato da dolori insanabili,
risollevati e difenditi da chi ti è ostile, a viso aperto,
fronteggiando sicuro le trame insidiose dei nemici;
non vantarti apertamente se vinci
e non abbatterti, non gemere, se vinto, chiuso in casa,
ma gioisci di quanto rallegra e rattristati per le sventure
senza eccesso; riconosci il ritmo che regola l’uomo.
(Trad. it. N. Russello)
Questo componimento, scritto dal poeta lirico Archiloco di Paro, vissuto intorno alla metà del secolo VII a.C., esprime un insegnamento morale ed esistenziale che sembra precorrere l’insegnamento successivo dei grandi filosofi greci. Un ammaestramento alla virtù, teso a conquistare il senso dell’esistenza e quindi la felicità.
I consigli di Archiloco utilizzano immagini legate alla vita militare, probabilmente quella che il poeta conduceva, o forse solo un richiamo convenzionale ai poemi omerici. Ma, rispetto a questo modello, qui viene superata la concezione, eroica sì, ma estremamente limitante, della “civiltà della vergogna”, in base alla quale l’eroe era tale solo se la propria comunità gli attribuiva questo statuto (motivo per cui Achille, privato della propria schiava, cioè del bottino di guerra, in preda all’ira, non può che ritirarsi dal combattimento). In questo caso, invece, Archiloco si raccomanda a una nuova etica, che detta nuovi comandamenti: non esaltarsi, né affliggersi troppo e rifuggire gli eccessi. Come riuscirci? L’imperativo finale rivela il segreto: conoscere ilritmoche regola l’uomo, cioè le alterne vicende dell’esistenza umana.
Il senso profondo di questo termine greco, ῥυϑμός, rythmós,è legato all’idea di misura, ovvero di un ordine che limita e che regola tanto la vita dell’uomo, quanto quella dell’universo. Chi riesce a sentire questa norma e ad adeguarvisi, riesce a non cadere nell’eccesso e a capire il senso degli avvenimenti.
Archiloco lo sta dicendo a se stesso, al proprio cuore. Anche questa parola traduce il greco θυμός, che più comunemente significa «spirito», «animo», e, nel linguaggio omerico, indica la sede delle emozioni, distinto dalla ψυχή ancora intesa solo come ciò che anima l’uomo, ossia il suo soffio vitale. Ma qui la novità significativa è che questo spirito è un organo capace di ragionare, di riflettere e di imparare: forse una prima intuizione di quel concetto di anima cui Socrate (470 469 a.C.-399 a.C.) darà il nome di ψυχή ‒ intesa come sede dell’intelligenza e dei valori morali ‒ e che proprio in questo periodo della metà del secolo VII a.C., a tutte le latitudini, comincia a delinearsi nella coscienza dell’uomo arcaico. Un concetto, dunque, che in Grecia comincia a esprimersi prima nella poesia lirica per poi diventare oggetto di speculazione del pensiero filosofico classico ed ellenistico, e infine acquisizione comune di tutti gli uomini con il cristianesimo.
Sabato, 10 agosto 2019