« Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate -, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito » (1Ts 4,1-8).
La prima lettera di san Paolo ai Tessalonicesi è, con ogni probabilità, il primo documento scritto che noi abbiamo del cristianesimo nascente, redatto nel 50/51. L’argomento centrale della lettera è la fine del mondo. Da non intendersi però in senso strettamente cronologico, ma in senso sostanziale, cioè “kairologico”.
Il compimento di tutta quanta la storia c’è già stato, è la venuta della Sapienza eterna di Dio in mezzo a noi, la quale ha compiuto il gesto perfetto, dopo il quale non c’è più da attendersi una perfezione più grande. Per capire bene questo passo di san Paolo è necessario rivedere la traduzione. Potrei accumulare una serie di argomenti di carattere storico-critico, ma preferisco riportare la traduzione al modello costituito dalla Neovulgata che costituisce oggi il testo ufficiale della Chiesa latina.
San Paolo riassume qui i comportamenti fondamentali che debbono caratterizzare la vita del cristiano: la purezza nelle questioni concernenti la sessualità e l’onestà in quello che riguarda gli affari. Il versetto 6 deve infatti essere tradotto così: « nessuno negli affari offenda o inganni il proprio fratello ».
Il mettere accanto la purezza sessuale e l’onestà nelle questioni di denaro è infatti una caratteristica di san Paolo: « Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quell’avarizia che è idolatria » (Col 3,5); « Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di avarizia » (Ef 4,19); « Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di avarizia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi » (5,3).
Anche l’autore della lettera agli Ebrei, un fedelissimo discepolo di san Paolo, si muove in questo ambito: « I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio. La vostra condotta sia senza avarizia » (Eb 13,4-5); « Non vi sia nessun fornicatore, o profanatore, come Esaù che, in cambio di una sola pietanza, vendette la sua primogenitura » (12,16). L’avaro è chiamato profanatore e avvicinato ad Esaù che, per un piatto di lenticchie, vende la primogenitura. L’avaro infatti per la cupidigia delle cose di questo mondo disprezza le realtà eterne ed è quindi un profanatore della sua vocazione ad essere “figlio di Dio”.
È una questione che può apparire sottile, ma è di grande importanza. Lussuria e avarizia sono strettamente legate: dietro ad entrambe di loro c’è il desiderio del possesso per sé, il desiderio di avere potere sul piacere e sul denaro. È quello che Tolkien chiamerà “l’anello del potere”. Un anello che rende schiavi e infelici. Rende degli spettri. La felicità, che tutti cerchiamo, la si trova solo nel dono. È qualcosa che trovi solo se non la cerchi per te stesso, ma per gli altri.
Il Santo del giorno: Santi Felice ed Adautto, martiri