Di Andrea Morigi da Libero del 03/10/2019. Foto redazionale
Il nazionalsocialismo in Germania tenta di risorgere, ma ce la farà soltanto grazie all’aiuto ingenuo e indiretto degli antifascisti. Come quello che gli hanno fornito venerdì al consiglio comunale di Dresda, adottando una risoluzione che proclama lo «stato di emergenza nazismo».
Il testo, presentato dal consigliere Max Aschenbach, del partito “satirico” di sinistra Die Partei e approvato con 39 voti a favore e 29 contrari. afferma che la città capoluogo della Sassonia «è preoccupata per le posizioni antidemocratiche, antipluraliste, discriminatorie e di estrema destra, che includono violenze» in aumento.
Benché l’attacco antisemita del 9 ottobre alla sinagoga di Halle, in Sassonia-Anhalt, e l’omicidio dell’esponente pro-migranti della Cdu Walter Lübcke siano segnali da non sottovalutare, che si aggiungono a recenti minacce contro esponenti dei Verdi, gonfiare le dimensioni e la rilevanza sociale del fenomeno, si rivela una trappola e non porta nessun vantaggio politico. Anzi, la storia s’ incarica di giudicarlo addirittura controproducente.
LA STORIA NON INSEGNA
Un avvertimento inascoltato è arrivato nei giorni scorsi dal consigliere comunale di Dresda Frank Hannig del partito dei Freie Wählers, che ha motivato la propria contrarietà per l’adozione della decisione: «La dichiarazione di uno stato di emergenza è polemica. Questa è in realtà la lingua nazista. Adolf Hitler, per esempio, fu nominato per la prima volta cancelliere del Reich in base a leggi di emergenza».
Perfino i manuali di propaganda politica cercano invano di insegnare, sulla scorta degli errori del passato, che la vittoria del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, passato da una percentuale di consensi elettorali del 18,3 nel 1930 al 43,9% del 1933, non fu dovuta soltanto alle celebri tecniche di comunicazione in undici punti di Joseph Goebbels, ma anche alla scelta dei suoi avversari.
Anche novant’ anni fa, sui manifesti della propaganda socialdemocratica e anche del Zentrum, il partito cattolico, più frequentemente di ogni altro simbolo, compariva la svastica. Frantumata, in fiamme, appesa a un patibolo magari, ma pur sempre, ossessivamente, la svastica. In pratica, così ne fu favorita la diffusione di massa.
CAMPAGNE ELETTORALI
Se ne accorse troppo tardi una delle menti di quelle sciagurate campagne elettorali, il russo Serghej Ciacotin, il quale riuscì almeno a fare autocritica nel suo volume Tecnica della propaganda politica, ammettendo i suoi errori di strategia.
Ora, a sinistra, nessuno legge più quel testo fondamentale, ma è come se la pubblicità della Coca-Cola riproducesse soltanto il logo della Pepsi: sarebbe considerato un suicidio commerciale.
In politica, invece, i compagni perseverano nell’identificarsi per contrasto e alla fine conta più quello che non sono. Le strade tedesche, ma ormai anche quelle italiane, si riempiono di simboli “antifa”; sulle emittenti televisive, i conduttori fanno a gara nel lanciare l’allarme. E al Parlamento italiano si istituisce una commissione sull’odio e il razzismo. Poi, in occasione del 25 aprile, ogni anno si scopre che gli episodi di violenza contro i partigiani della Brigata ebraica arrivano proprio dai gruppi antifascisti, irresistibilmente affascinati dal nemico, tanto da imitarlo.
VECCHI ERRORI
I manifesti della propaganda elettorale socialdemocratica negli anni 1930, che riproducevano la svastica, contribuirono ingenuamente alla diffusione del simbolo del partito nazionalsocialista.