Da La bianca Torre di Ecthelion del 24/06/2018. Foto da articolo
Giovedì 21 giugno si è spento a Washington, 68enne, Charles Krauthammer, sconfitto da un tumore all’addome che lo ha ucciso in 10 mesi. Era nato a New York il 13 marzo 1950 da padre ucraino (e suddito asburgico) e madre belga, entrambi ebrei ortodossi, in una famiglia che conversava comunemente in francese e che più tardi si trasferì a Montreal. In Canada si è laureato in Economia e Scienze politiche alla McGill University nel 1970. Poi, dopo un anno come borsista in Politologia al Balliol College dell’Università di Oxford, ha cambiato indirizzo e si è iscritto a Medicina ad Harvard. Al primo anno di corso, 22enne, tuffandosi da un trampolino, picchiò la testa sul fondo. Finì in ospedale per 14 mesi, rischiando la vita, e ne uscì inchiodato a una sedia a rotelle. Ma nel 1975 si laureò in Psichiatria, praticando poi per tre anni al Massachusetts General Hospital.
In questo campo era un luminare, autore di pubblicazioni scientifiche e pure di una scoperta importante, una particolare forma di disturbo bipolare. Eppure è diventato famoso per ben altro: il giornalismo politico. È infatti in questi panni che è diventato un autorità in campo conservatore, per la precisone uno dei nomi di punta di quell’opzione specifica che è il neoconservatorismo. Qui il mondo si divide in due: da un lato chi i neocon li odia comunque e a prescindere, dall’altro chi li ama ugualmente comunque e a prescindere. È la cosa peggiore. Frappone infatti lenti ideologiche che distorcono la realtà. Memorabili sono state le faide che hanno diviso Krauthammer (e molti altri) dai cosiddetti “paleoconservatori”, un’altra opzione specifica della Destra statunitense divisa dai neoconpraticamente su tutto. Eppure Krauthammer di valore aggiunto all’analisi dei fatti ne ha apportato spesso e in abbondanza.
Ha per esempio sempre separato con lucidità e immediatezza – verrebbe da dire istintivamente – il grano dal loglio in base al criterio principe di tutta la sua lealtà politica: l’interesse nazionale. Per ragioni anagrafiche è stato un “neocon di mezzo” fra la loro prima generazione e la seconda. La prima è quella giunta al potere con la presidenza di Ronald Reagan (1911-2004), la seconda quella che ha svolto un ruolo importante durante la presidenza di George W. Bush Jr. La differenza fondamentale è che la prima era per lo più interamente costituita da ex comunisti (trotzkysti) convertiti strada facendo al conservatorismo, laddove la seconda è formata da conservatori mai stati di sinistra.
Ex liberal entusiasta del progressismo del presidente Lyndon B. Johnson (1908-1973), collaboratore dell’Amministrazione Democratica di Jimmy Carter dal 1978 in ambito medico, cominciò poi a scrivere per The New Republic e nel 1980 finì speech-writer del vicepresidente Democratico Walter Mondale. Intanto la sua fama di psichiatra cresceva. Ma arrivò Reagan, il mondo cambiò e Krauthammer pure. Forse è stato uno degli ultimi ex liberal a farsi neoconservatore, convinto proprio da ciò che stava accadendo alla Casa Bianca con Reagan grazie anche all’apporto di quei neoconnel novero dei quali di lì a poco sarebbe entrato pure lui.
Con Reagan il conservatorismo arrivò alla Casa Bianca per la prima volta. Imperava allora il confronto, duro, durissimo con l’Unione Sovietica. Reagan fu il primo a disporre della coscienza e dei mezzi di un grandissimo Paese per voltare pagina, mirando a sconfiggere l’URSS invece che solo contenerla. Per questo il presidente prese a sostenere, politicamente e militarmente, tutte le resistenze nazionali anticomuniste che poté, evitando però il più possibile di coinvolgere direttamente le truppe americane. Era il modo giusto per coniugare l’impegno internazionale caro ai neocon a quello spirito “isolazionista” che ha sempre caratterizzato i “paleo”. Le venne affibbiato il nome di “Dottrina Reagan”: a farlo fu proprio Krauthammer con un articolo intitolato proprio così che Timepubblicò il 1° aprile 1985. Il valore aggiunto qui fu che l’interesse nazionale americano contro l’URSS era anzitutto una netta scelta morale di campo. Il secondo grande atout Krauthammer lo giocò dopo il massacro dell’Undici Settembre, affermando che l’unico modo per battere il nemico arabo-musulmano fosse quello di democratizzarlo il più possibile.
Alcune sue opinioni, per esempio in tema di evoluzionismo, non erano in linea con l’ortodossia conservatrice, ma il suo meglio era la politica estera. Non era un ebreo osservante, quanto un deista affascinato dal mistero dell’universo, ma all’anchorman radiofonico conservatore Dennis Prager, in un’intervista del 2013 intitolata nientemeno che The Theology of Charles Krauthammer, disse: «ritengo l’ateismo la meno plausibile di tutte le teologie. Viglio dire: esistono un mucchio di teologie assurde, ma quella che di oppone nettamente alla categoria del possibile è l’ateismo», che è «[…] una violazione della razionalità umana».
Estensore, dal 1985, di una rubrica settimanale su The Washington Post, collaboratore di Commentary e di The Weekly Standard, vinse il Premio Pulitzer nel 1987. Commentatore di Fox News dagli anni 1990, si è fatto sempre più influente e incisivo tanto che spesso i suoi non erano giudizi ex post bensì indicazioni ex ante. Nemico giurato degli otto anni di Barack Obama, ha contestato Donald J. Trump sin dall’inizio, ma poi si è piegato all’efficacia del suo governo.
Inevitabile associarne il nome a quelli di William Safire (1929-2009), Robert D. Novak (1931-2009), Joseph Sobran (1946-2010) e William F. Buckley (1925-2008) [http://www.lanuovabq.it/it/william-buckley-il-demiurgo-dei-conservatori]. Certo, messi tutti assieme in una stanza avrebbero fatto a cazzotti, ma speriamo che adesso, dall’altra parte dell’eternità, si siano chiariti. Ad accomunarli su questa Terra è stata la maestria comunicativa, l’uso magistrale della lingua, l’efficacia della scrittura e sì, la bellezza dello stile. Safire e Krauthammer erano ebrei, Novak, Buckley e Sobran cattolici, Novak convertito dall’ateismo a 67 anni. Gli stracci sarebbe volati in quella stanza ipotetica perché Sobran ha rasentato l’antisemitismo e Buckley è stato uno dei suoi accusatori pubblici. Krauthammer è l’ultimo di quel lotto a essersene andato, lasciando il testimone della professionalità, della bravura e dello stile a Patrick J. Buchanan (cattolico, pure lui ogni tanto redarguito – anche da Buckley – per la questione ebraica). Il dato di fatto è che questi grandi della prosa americana contemporanea sono tutti conservatori.
Certo della fine imminente, l’8 giugno Krauthammer ha dato l’addio al mondo con una lettera ai lettori su The Washington Post sobria, seria, secca: «Lascio questa vita senza rimpianti. È stata una vita meravigliosa: piena e carica di quegli affetti grandi e di quelle cose grandi che rendono una vita degna di essere vissuta. Sono triste di doverla lasciare, ma vivo nella consapevolezza di avere vissuto la vita che desideravo». Ci vuole un coraggio da leoni per guardare la morte così. Riescono solo gli uomini dai quali abbiamo comunque qualcosa da imparare.
Marco Respinti