Da Libero del 01/03/2019. Foto da ilpopulista.it
La minaccia del terrorismo in Italia cresce proporzionalmente alla presenza di clandestini sul territorio nazionale. Ma attenzione a non dirlo, per non scandalizzare l’opinione pubblica. Così, invece di affermare sic et simpliciter che la guerra santa arriva sui barconi, i Servizi segreti, nella Relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza presentata ieri al Parlamento, utilizzano una formula più articolata. Sulle «rotte dell’immigrazione illegale», spiega l’intelligence, si possono «movimentare estremisti e returnees», cioè ex foreign fighter, ma il rischio è legato soprattutto all’obiettivo di «sfruttare in seguito – a fini di radicalizzazione – le pressoché scontate situazioni di disagio in cui è destinata a versare una parte degli stessi migranti». Insomma, li fanno arrivare qui nella speranza di reclutarli.
Sul mercato della manovalanza sovversiva, peraltro, l’Isis non è l’unico cliente interessato. C’è concorrenza, rilevano gli 007, in particolare con la «galassia dell’antagonismo» che tenta «il coinvolgimento nelle mobilitazioni della popolazione straniera, ritenuta, in particolare dai segmenti più oltranzisti, un bacino di reclutamento “capace di produrre conflitto”».
SOLIDARIETÀ RIVOLUZIONARIA
Il riscontro più recente risale alla metà di febbraio, quando le indagini della Digos di Torino avevano fatto emergere il legame stabilito dagli anarchici locali con gli immigrati ospiti del Centro di Permanenza per i Rimpatri. Dall’esterno, gli stranieri ricevevano, grazie a tennisti addestrati, palline da tennis tagliate e riempite con fiammiferi, accendini e istruzioni in lingua araba per incitare alla rivolta e a dar fuoco alla struttura. E in questo consisteva la solidarietà rivoluzionaria nei confronti dei richiedenti asilo. Non resta che interrompere il traffico di esseri umani dal Mediterraneo, soluzione che ha consentito di far calare il numero dei naufraghi morti, ma anche di abbassare il livello di allerta. Quindi nel frattempo diminuiscono gli arrivi, con una «contrazione senza precedenti», pari nel 2017 a «una flessione di oltre l’80%». Tutto merito della «rafforzata capacità della Guardia costiera libica nella vigilanza delle acque territoriali», come anche della «drastica riduzione delle navi delle Ong nello spazio di mare prospiciente quelle coste che, di fatto, ha privato i trafficanti della possibilità di sfruttare le attività umanitarie ricorrendo a naviglio fatiscente e a basso costo» e del «potenziamento dei controlli a Sud della Libia, specie in territorio nigerino, secondo una strategia di “presidio avanzato” condivisa dalla Ue e convintamente sostenuta dall’Italia».
Eppure è stato necessario aprire un lungo contenzioso politico e giudiziario, tuttora in corso, per ottenere qualche risultato. Da un lato i governi e le istituzioni dell’Unione Europea, dall’altro la magistratura, hanno trovato argomenti per ostacolare le misure di salute pubblica adottate dal governo Conte per frenare l’accoglienza indiscriminata.
L’ISLAM RADICALE
Ma l’Italia prosegue per la sua strada di riduzione della minaccia con le espulsioni, nel 2017, di 107 fra imam radicali, reclutatori, veterani dei conflitti in Medio Oriente. Anche in questo caso, chiamare in causa l’islam è impresa particolarmente difficile. Si affronta la questione piuttosto alla larga, spiegando che l’attività di prevenzione ha riguardato per la maggior parte cittadini tunisini (34), marocchini (32), egiziani (10) e poi albanesi, pakistani, kosovari, algerini e francesi, ma nessun cenno alla loro appartenenza religiosa. Poi, gratta gratta, saltano fuori gli «islamonauti», personaggi «radicalizzati impegnati a diversi livelli: dal proselitismo di base a più significativi contatti con omologhi e militanti attivi all’estero, compresi foreign fighters e soggetti espulsi dall’Italia per motivi di sicurezza».
Sul fenomeno dei combattenti stranieri, che si sono uniti alle truppe dello Stato islamico in Siria e in Iraq, l’intelligence invita comunque a non abbassare la guardia perché il loro numero è cresciuto costantemente, dai 93 del 2015 ai 116 del 2016 fino ai 129 del 2017, anche se nell’ultimo anno non si sono registrate nuove partenze. Complice la sconfitta militare del Califfato, calano gli aspiranti al martirio sulla via di Allah, ma il pericolo ora consiste nelle «dinamiche competitive» fra «Daesh e Al Qaeda», che potrebbe tradursi «in prove di forza giocate anche in campo “esterno”, con il ricorso ad attentati eclatanti contro obiettivi occidentali concepiti al solo scopo di guadagnare un primato nella competizione». Non è detto che possiamo star tranquilli mentre i terroristi islamici si combattono fra loro.
Andrea Morigi