Da La bianca Torre di Ecthelion del 11/12/2017. Foto da articolo
Jesus Christ is comin’ to town. La versione di quest’anno del classico swing natalizio composto nel 1932 da Haven Gillespie e J. Fred Coots è finalmente questa. Lo sfratto imposto per otto anni da Barack Obama è finito e Gesù Bambino nascerà ancora una volta nella mangiatoia anche alla Casa Bianca. Mentre ancora una volta il mondo ne inventa una più di Bertoldo per vergognarsi in pubblico di quella Nascita (presepi surreali o disinvoltamente buttati nel cesto, parodie blasfeme della Sacra Famiglia), giovedì 30 novembre il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump e signora hanno accesso il tradizionale albero di Natale che svetta davanti alla Casa Bianca. Si chiama “National Christmas Tree”. Negli Stati Uniti un mucchio di cose si chiamano così, e molte di queste sono belle cose. “National Shrine”, “National Prayer Breakfast”, “National Catholic Prayer Breakfast”, persino le “National Holiday”. Sono quei momenti e quei gesti pubblici che simboleggiano una nazione intera, un popolo vivo, una storia. Momenti e gesti in cui non c’è partigianeria (in realtà c’è, ma la si sospende pour cause e gentlemanship), in cui il Paese non “si sente” unito ma lo è davvero. Momenti e gesti nazionali, appunto, con un senso e un gusto che molti di noi hanno invece tristemente perso, addirittura bandiere, emblemi, l’american way of life al suo meglio.
C’è dunque appunto anche l’Albero di Natale Nazionale. È inconfondibilmente lui. Lo si potrebbe persino chiamare per nome. Svetta nel quadrante di nordest dell’Ellisse, ovvero il parco di poco più di 200mila metri quadrati che si estende oltre il cancello sud della Casa Bianca. Ovvero davanti a essa, sul marciapiede opposto. Settimana scorsa, come di rito, la coppia presidenziale lo ha inaugurato. E, come aveva promesso in pubblico parlando al Values Voter Summit il 13 ottobre, Trump ha rimesso Gesù al suo posto, cioè al centro di tutto, in barba al politicamente corretto, alle molte sedie vuote per polemica sterile, ai commentucci scontati dei soliti noti.
Le parole pronunciate da Trump giovedì scorso le riporta integralmente LifeSite News, uno dei più lucidi e combattivi siti Internet di sana controinformazione a difesa della vita umana nascente e della famiglia naturale.
«Per i cristiani questo è un tempo santo», ha detto Trump: «la celebrazione della nascita di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. La storia del Natale inizia 2mila anni fa con una madre, con un padre, con il loro bambino e con il dono più straordinario di tutti: il dono dell’amore di Dio a tutta l’umanità. Quale che sia il nostro credo, noi sappiamo che la nascita di Gesù Cristo e il racconto di quella vita incredibile hanno mutato per sempre il corso della storia umana. Non vi è un solo aspetto delle nostre esistenze che quella vita non abbia toccato: l’arte, la musica, la cultura, il diritto e il rispetto che abbiamo per la dignità sacra di ogni persona in qualsiasi luogo del mondo. Ogni anno a Natale riconosciamo che lo spirito autentico del Natale non è ciò che abbiamo, bensì ciò che siamo: ognuno di noi è figlio di Dio. È questa la fonte vera della gioia di questo periodo dell’anno. È questo ciò rende ogni Natale “buono”. Ed è questo ciò che ricordiamo con la bella cerimonia di oggi: che siamo chiamati a servirci gli uni gli altri, ad amarci gli uni gli altri e a perseguire la pace nei nostri cuori e nel mondo intero».
Trump potrebbe passare alla storia come il presidente che negli Stati Uniti ha ridato legalità e corso all’espressione «buon Natale». È prevedibile che l’astio già enorme nei suoi confronti aumenti a dismisura. Il «buon Natale» del presidente si muta del resto subito in ringraziamento esplicito a coloro che si spendono affinché il Natale sia davvero sempre buono per milioni di americani, persone che mettono ogni giorno a diposizione la propria vita per gli altri onde garantire sicurezza, pace e stabilità a tutti, vale a dire i soldati e le forze dell’ordine. Ma il «buon Natale» presidenziale raggiunge esplicitamente anche i leader religiosi che hanno insegnato e che insegnano. Prevedibili rovesci eccezionali di accuse di lesa laicità dello Stato sul capo di Trump, anche perché il presidente si è spinto ancora più in là ringraziando «[…] specialmente le famiglie americane».
Il Natale, ha detto, «[…] ci ricorda più di ogni altro tempo dell’anno che la famiglia è la roccia su cui poggia la società statunitense»; per questo ha aggiunto, pubblicamente: «[…] dunque questo Natale chiediamo la benedizione di Dio sulle nostre famiglie e sulla nostra nazione. E preghiamo affinché il nostro Paese possa essere il luogo dove ogni bambino abbia una casa colma di amore, una comunità ricca di speranza e una nazione benedetta dalla fede». Qui Trump non dice “blessed”, ma “blest”: usa una forma antica, atavica, avita, arcaica nel migliore dei significati. Per fare il vecchio trombone? No, per riecheggiare la fede dei padri, il senso di una storia che continua, la musicalità di un suono che riproduce la bellezza primigenia. Il Natale, appunto, inizio di tutto. Quando chiude con il classico «God bless America» nessuno ha la sensazione che sia una forma vuota di circostanza, per primi quelli che Trump lo odiano. La notizia del giorno è che negli Stati Uniti Gesù è tornato libero.
Marco Respinti