Il peccato e la redenzione nella fede del protagonista
di Marco Leo
In queste settimane, i teatri emiliani di Piacenza e di Modena ospiteranno alcune recite di quello che oggi è probabilmente il titolo meno eseguito del catalogo operistico di Giuseppe Verdi: Aroldo, su libretto di Francesco Maria Piave. Tanta rarità dipende dal fatto che, dopo la riscoperta di Stiffelio (prima versione verdiana dello stesso soggetto), quest’ultimo è stato decisamente preferito alla successiva riscrittura. Così, nonostante oggi praticamente tutti i melodrammi verdiani, compresi quelli che un tempo si sarebbero detti “minori”, siano rappresentati nei teatri d’opera di tutto il mondo, ascoltare Aroldo è un’opportunità quanto mai rara.
Nel 1857, per l’inaugurazione del nuovo teatro di Rimini, giunto a compimento dopo una lunga gestazione (ma comunque assai più breve di quella che ha portato alla sua ricostruzione post-bellica, compiuta solo una manciata d’anni fa), fu commissionata un’opera a Verdi, universalmente riconosciuto come il maggiore operista vivente. Stiamo infatti parlando del periodo della piena maturità verdiana: Rigoletto, Il trovatore e La traviata erano stati composti alcuni anni prima, Simon Boccanegra è coevo, di lì a breve sarebbe arrivato Un ballo in maschera. Verdi, per l’occasione, riprese in mano la partitura di Stiffelio, composta nel 1850, che aveva avuto vita travagliata poiché l’ambientazione contemporanea con protagonista un ministro religioso protestante incontrava problemi di censura; e la rielaborò, spostando la vicenda nella Gran Bretagna di inizio Duecento, dove il protagonista è un crociato di ritorno dalla Terrasanta. Aroldo scopre che la moglie, Mina, lo ha tradito, e ne rimane sconvolto: dopo aver maledetto la sposa e il tetto coniugale, si allontana per vivere da eremita sulle rive di un lago scozzese, mentre il suocero Egberto uccide in duello il seduttore. Raggiunto da Mina nel suo ritiro, Aroldo infine la perdona, pronto a ricominciare una vita al suo fianco.
La vicenda, originariamente tratta da Le Pasteur, ou L’Évangile et le Foyer di Émile Souvestre ed Eugène Bourgeois, fu rielaborata ispirandosi a fonti inglesi. Dal punto di vista musicale, diverse pagine di Stiffelio furono semplicemente riprese nella nuova partitura, al più variando leggermente il testo cantato; altre furono modificate o sostituite, per assecondare le nuove esigenze drammaturgiche, le caratteristiche vocali degli interpreti e i mutati gusti del compositore e del pubblico. Decisamente nuovi sono l’inizio del I atto, e tutto il IV atto. Ne risulta che Aroldo è una partitura composita, che alterna pagine nel più puro stile, sanguigno e irruente, del giovane Verdi ad altre ‒ di fattura più raffinata ma meno inclini a suscitare emozioni immediate ‒ che sembrano uscite dalle opere della maturità, con qualche anticipazione, in particolare, della Forza del destino. Se questo sia un punto di forza o di debolezza, spetta dirlo alla sensibilità di ciascuno spettatore. Certamente, Aroldo perde un po’ di quella compattezza che la versione precedente possedeva. Anche dal punto di vista drammaturgico, una vicenda pensata per essere ambientata nell’Ottocento borghese finisce per avere qualcosa di straniante una volta trasportata nel Medioevo (in particolare, suona anacronistica la proposta di divorzio che Aroldo avanza a Mina dopo aver appurato il tradimento). Così, i registi che hanno curato le rare riprese moderne del titolo hanno in genere preferito non rispettare le indicazioni del libretto, e riportare la trama alla sua originale ambientazione ottocentesca, o avvicinarla allo spettatore contemporaneo. Nel caso dello spettacolo che andrà in scena a Piacenza e Modena ‒ già rappresentato a Rimini nella scorsa estate e recentemente a Ravenna ‒, i registi Emilio Sala ed Edoardo Sanchi hanno voluto ambientare Aroldo in epoca fascista (anche modificando qualche parola del testo cantato, pratica che personalmente non condivido ma sulla quale non intendo ora soffermarmi).
Ma, al di là della curiosità per un titolo del catalogo verdiano raramente rappresentato e dalla storia compositiva singolare, c’è qualche ragione intrinseca che possa spingere l’ascoltatore di oggi, e in particolare l’ascoltatore cattolico, ad accostarsi ad Aroldo? A mio modo di vedere, il suo fascino risiede nel dar voce con efficacia a un dramma di amore coniugale. Mina ha tradito il proprio marito, è consapevole e pentita dello sbaglio commesso e spera di ottenerne il perdono. Aroldo, pio cavaliere cristiano, di fronte alla scoperta dell’infedeltà della moglie sente crollare il proprio mondo affettivo e arriva a perdere la speranza nella possibilità di ritrovare la felicità coniugale: questo perché, dopo la delusione ricevuta, guarda al proprio rapporto con la moglie su un piano esclusivamente mondano. È la Fede che lo sorregge e gli permette ‒ dopo un periodo di ritiro nella preghiera e grazie alla guida di Briano (un eremita conosciuto in Palestina, che ha seguito Aroldo in patria e ne è diventato il confidente/padre spirituale) ‒ di comprendere il senso cristiano del perdono e stringere tra le braccia la moglie ritrovata. E specifica di Aroldo, rispetto al precedente Stiffelio, è proprio la rilevanza data alla maturazione spirituale del protagonista, che si compie nel IV atto, di nuova composizione e concluso sul verso «Trionfi la legge divina d’amor!».
Aroldo di Giuseppe Verdi è in scena al Teatro Municipale di Piacenza il 21 e il 23 gennaio 2022; al Teatro Comunale “Pavarotti-Freni” di Modena il 28 e il 30 gennaio 2022. La registrazione di una recita dell’agosto scorso al Teatro “Galli” di Rimini (con identico allestimento scenico ma interpreti diversi) è attualmente disponibile su Youtube.
Mercoledì, 26 gennaio 2022