Andrea Morigi, Cristianità n. 403 (2020)
Numeri alla mano, le testate online crescono a discapito delle loro madri e sorelle cartacee. Vi è chi da tempo ha annunciato la morte della stampa quotidiana, per non dire dei periodici (1). Una tendenza favorita da Internet, che facilita la fruizione gratuita dell’informazione. Sul web il traffico di notizie vere e false impazza, tanto che alcuni Stati hanno introdotto un’imposta che colpisce i ricavi dei cosiddetti GAFA (acronimo delle iniziali di Google, Apple, Facebook e Amazon), le megasocietà statunitensi di servizi digitali che rilanciano a livello globale, peraltro senza pagarlo, il frutto del lavoro giornalistico altrui.
Non sono gli unici parassiti. Infatti, la Federazione Italiana Editori Giornali ha lanciato una controffensiva per impedire la pirateria che, mettendo a disposizione sui canali della piattaforma Telegram tutte le pagine dei giornali in formato elettronico, causa al settore un danno economico valutato in quattrocentomila euro al giorno, pari a 144 milioni l’anno (2). Un provvedimento dell’Agcom, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, il 23 aprile 2020, in risposta all’istanza presentata dagli editori, ha bloccato l’accesso alla distribuzione illegale (3). Dalla vicenda, nella quale non può essere ancora detta l’ultima parola, si può ricavare una prima indicazione: se i quotidiani fossero merce così obsoleta come farebbero presumere il calo della loro popolarità e la chiusura di molte edicole, passate da quarantaseimila a ventiseimila nel giro di quindici anni (4), non si assisterebbe al tentativo di appropriazione delle loro copie per leggerle senza pagare.
«Carta canta», recita un proverbio. Si potrebbe aggiungere che quanto ogni giorno esce dalle rotative ha un’eco, poiché i contenuti rilanciati creano dibattito e contribuiscono alla formazione di decisioni politiche ed economiche in grado di cambiare la vita degli individui e la forma della società a cui sono rivolti, come accade anche nel caso della radiofonia e della televisione, pubbliche e private, che non hanno fagocitato tutto il pubblico dei più «antichi» mezzi di comunicazione di massa e quindi non li hanno nemmeno completamente sostituiti.
Nonostante la scarsa e calante fiducia a livello di opinione pubblica nei giornalisti, la cui indipendenza è messa in dubbio da alcune forze politiche, la scelta di violare il loro diritto d’autore rappresenta comunque un segno di autorevolezza. Tipicamente, un fenomeno analogo come quello della contraffazione agisce nei confronti dei marchi del lusso, i cui prodotti esercitano un’attrazione commerciale tanto da favorire il furto di proprietà intellettuale da parte di chi ne copia il design per commercializzarne imitazioni in modo illecito. Nel settore dell’editoria, benché mercato tendenzialmente sempre più di nicchia, dove ormai conta più la qualità della quantità, non si producono soltanto notizie e opinioni, ma si dà anche spazio a progetti economici e politici di rilevanza internazionale.
Nella dinamica sociale influisce anche la spinta uguale e contraria: l’opinione — pure nelle sue varianti ideologiche — e le visioni strategiche fanno l’editoria, ma non sono elementi sufficienti a realizzare un prodotto mediatico, poiché giornali, radio, tv e l’informazione online necessitano di risorse finanziarie, alimentate dai fatturati pubblicitari più che dalla diffusione commerciale, ma anche da capitali.
Perciò, quando grandi gruppi editoriali nazionali proprietari di testate quali la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, come Italiana Editrice S.p.A. (Itedi), di cui è azionista di maggioranza Fiat Chrysler (FCA), controllata dalla Exor della famiglia Agnelli — che inoltre pubblica il settimanale The Economist —, si avviano verso una trasformazione, appare logico che, tagliando rami secchi per ragioni di bilancio, perdano un po’ del loro aspetto, oltre che dell’assetto, precedente. Ed è altrettanto naturale che, per mantenere la fisionomia del passato, qualche nostalgico tenti un’operazione di imbalsamazione del passato. Sotto questo aspetto l’iniziativa di Carlo De Benedetti, per oltre trent’anni editore de la Repubblica, di dar vita al nuovo quotidiano Domani, che punterà dichiaratamente su un segmento di lettori di sinistra e progressista, si configura anche come salvaguardia di uno spazio finora occupato quasi per intero da un giornalismo schierato, che continua a guardare la cronaca e la politica attraverso lenti che prescindono dalla realtà, in una sorta di wishful thinking, che fa credere vero ciò che si desidera e lo fa evocare credendolo giusto.
Lo si è visto, anche a livello internazionale, nell’incapacità di comprendere l’orientamento dell’elettorato nordamericano, che nel 2016 ha eletto il repubblicano Donald Trump come presidente degli Stati Uniti, nonostante la schiacciante maggioranza del mondo dell’informazione globale, confortata da sondaggi quanto meno ingannevoli, ritenesse certa la conquista della Casa Bianca da parte della rivale democratica Hillary Rodham Clinton. Chi, come la maggior parte dei corrispondenti esteri da New York City, aveva sottovalutato l’esistenza di una deep America conservatrice e religiosa, pur rimanendo sorpreso e amareggiato per il responso delle urne, si è tuttavia ostinato nel ritenere sbagliata quella scelta e a porsi come parte in causa per sconfiggere il proprio avversario.
L’abbaglio non ha coinvolto in modo uniforme tutti i giornalisti, alcuni dei quali si sono dimostrati capaci di analisi approfondite ed equilibrate del quadro geopolitico. Quando nel 2015 John Elkann, presidente di Itedi, nomina come direttore de La Stampa Maurizio Molinari, l’ex corrispondente da New York City e da Gerusalemme della medesima testata, affidandogli poi, nel 2017, la direzione editoriale di Gedi News Network e infine, nel 2020, la guida del quotidiano La Repubblica, compie una scelta dettata certamente dalle relazioni internazionali del gruppo automobilistico, che ha largamente investito negli Stati Uniti.
Sono tensioni che si ripercuotono sull’indipendenza degli organi di informazione, sugli equilibri politici e di governo e sui rapporti fra gli Stati, testimoniate anche dall’incidente diplomatico avvenuto fra Roma e Mosca nell’aprile 2020 e provocato dalle minacce al giornalista de La Stampa Jacopo Iacoboni da parte di Igor Konashenkov, general maggiore e rappresentante ufficiale del ministero della Difesa russo (5).
Nello stesso tempo anche la concorrente Rcs MediaGroup, controllata da Urbano Cairo, che pubblica i quotidiani Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport in Italia ed El Mundo, Expansión e Marca in Spagna, oltre a una quantità di periodici, è alle prese con un adeguamento alle mutate condizioni del mercato editoriale. Il progetto politico dello storico quotidiano della borghesia milanese non appare ancora chiaro e lascia aperte molte ipotesi sul ruolo futuro del suo editore, proprietario anche della rete televisiva La7, benché egli stesso abbia provveduto a smentire un impegno personale a breve termine (6).
Va sempre più restringendosi, intanto, il perimetro dell’influenza dell’altro gigante dell’editoria italiana che fa capo alla famiglia Berlusconi, formato da Mondadori e Mediaset. Mentre la prima ha ceduto testate storiche quali Panorama, la seconda da anni ha stretto accordi per la trasformazione digitale con il colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei (7), che i governi occidentali, Stati Uniti d’America in testa, sospettano di svolgere attività di spionaggio industriale e financo militare.
In questo contesto va analizzata anche l’offensiva della propaganda del Partito Comunista Cinese nel panorama dell’informazione italiana. La prima testa di ponte viene gettata nel 2010, con la partnership fra Class Editori — che pubblica i quotidiani MF e Italia Oggi e diversi periodici, oltre a essere l’editore delle emittenti televisive Class Cnbc, Class Life e Class TV Moda — e l’agenzia di stampa Xinhua, principale gruppo media controllato da Pechino, in diversi campi, fra cui l’interscambio di notizie, l’organizzazione congiunta di eventi, i servizi di formazione online e le banche dati (8). L’espansione del fenomeno è testimoniata da numerosi accordi successivi, a partire dalla collaborazione avviata il 2 luglio 2014 fra l’AGI, l’Agenzia Giornalistica Italia, di proprietà dell’ENI, l’Ente Nazionale Idrocarburi, e Xinhua con la condivisione di notizie, competenze ed esperienze sui processi e i rapporti commerciali e culturali fra Italia e Cina, oltre all’organizzazione congiunta di eventi e attività di formazione in ambito di comunicazione (9). L’accordo è stato seguito dalla firma a Pechino, nel marzo 2016, di un memorandum d’intesa per la collaborazione editoriale fra l’AGI e il Quotidiano del Popolo, il maggior quotidiano cinese, il cui presidente Yang Zhenwu ha ricordato il ruolo di diffusione delle politiche del governo e delle linee del Partito Comunista Cinese della testata, non solo sul cartaceo, ma anche sui nuovi media e sui social media (10). Successivamente, nel maggio del 2017, l’Agenzia Nazionale Stampa Associata -ANSA, nel cui assetto proprietario compaiono come soci i maggiori quotidiani italiani, firma un memorandum di cooperazione con l’agenzia Xinhua che prevede lo scambio dei rispettivi notiziari, unitamente a una collaborazione sulla produzione di contenuti, amplificato poi a Wuzhen, nella provincia di Zhejiang, nella zona centro-orientale del Paese, il 23 marzo 2019, consentendo di dar vita al primo servizio in lingua italiana della prima agenzia di notizie cinese (11). Negli stessi giorni, fanno seguito accordi fra il Sole 24 Ore,quotidiano di Confindustria,e il China Economic Daily, quotidiano di riferimento per l’informazione economica del governo cinese, «così come tra il China Media Group (CMG — nata nel marzo 2018, subordinata al Consiglio di Stato cinese e sotto la direzione del Dipartimento per la Comunicazione Politica del Comitato Centrale del Pcc) e Rai, Mediaset e Class Editori. Questi ultimi tre, in occasione della visita di Stato in Italia del presidente Xi Jinping, il 21 marzo, lanciano la “Settimana della Tv cinese”, nel corso della quale vengono trasmessi 20 lungometraggi, documentari e serie TV selezionati dal Cmg, tra cui la versione italiana delle “Citazioni letterarie di Xi Jinping”» (12), segretario del Partito Comunista Cinese e presidente della Repubblica Popolare Cinese. Perfino il sindacato dei giornalisti, la Federazione Nazionale della Stampa-FNSI, intrattiene attraverso la All China Journalists Association cordiali rapporti con le istituzioni di Pechino, responsabili della censura e dell’incarcerazione di giornalisti, nonostante i loro incontri bilaterali siano volti ad «[…] approfondire alcuni aspetti legati all’attività sindacale e alla necessità di promuovere la salvaguardia della libertà di stampa, del diritto dei giornalisti ad informare e dei cittadini ad essere informati» (13).
La strategia di Pechino ha una portata mondiale (14), ma l’Italia e il suo sistema mediatico vi giocano un ruolo importante. Se la leva degli investimenti pubblicitari concessi da aziende controllate dall’apparato statale cinese fosse usata come arma di ricatto per limitare il diritto di parola e di espressione, ci troveremmo di fronte non solo a un attacco alle libertà fondamentali, ma anche a un tentativo di imbavagliare la denuncia delle persecuzioni contro i cristiani e i fedeli di altre religioni che avvengono dietro la Grande Muraglia nel nome dell’ideologia comunista.
Andrea Morigi
Note:
1)Cfr.Gloria Frezza, Giornali di carta, la lunga resistenza. Così la stampa tradizionale sfida le testate online e le profezie di sventura, in Lumsanews, n. 4, 1° ottobre 2017, p. 5, ripreso in Così i giornali di carta sfidano le profezie di sventura, nel sito web <https://www.lumsanews.it/cosi-giornali-carta-sfidano-le-profezie-sventura> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati l’11-7-2020).
2) Cfr.Maria Elena Viggiano, I giornali (in crisi) magari non brillano, ma la pirateria li strangola, in Econopoly, 19 febbraio 2020, nel sito web <https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/02/19/giornali-pirateria>.
3) Cfr.il comunicato stampa nel sito web <https://www.agcom.it/documents/10179/18199222/Comunicato+stampa+23-04-2020/f1bcd16f-bf19-4daf-813d-c490fbfbbfa3?version=1.0>.
4) Cfr. Luigi Mastrodonato, Edicole, giornali e librerie: la crisi senza fine del mercato editoriale, in Wired, 29 gennaio 2020, nel sito web <https://www.wired.it/attualita/media/2020/01/29/edicole-crisi-notte-delle-edicole>.
5) Cfr. Le accuse di Mosca e la nostra risposta, in La Stampa, 3 aprile 2020, nel sito web <https://www.lastampa.it/lettere/2020/04/03/news/le-accuse-di-mosca-e-la-nostra-risposta-1.38672825>; e Nota congiunta del Ministero della Difesa e del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, 3 aprile 2020, reperibile nel sito web <https://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/nota-congiunta-del-ministero-della-difesa-e-del-ministero-degli-affari-esteri-e-della-cooperazione-internazionale.html>.
6) Cfr. Annalisa Chirico, Un altro governo è possibile. Il manifesto politico di Cairo, in il Foglio quotidiano, 26 agosto 2019; ed Enrico Marro, Urbano Cairo: «La politica? L’idea per ora non mi sfiora», <https://www.corriere.it/economia/aziende/19_agosto_26/cairo-political-idea-oranon-mi-sfiora-b58e4e9a-c83d-11e9-8c03-de8d8a3c7a87.shtml>.
7) Cfr. Gabriele Carrer, Biscione cinese. Così Mediaset sceglie Huawei (non ditelo a FI, Salvini e Meloni), in Formiche, 9 maggio 2020, nel sito web <https://formiche.net/2020/05/huawei-mediaset/>.
8) Cfr. il sito web <https://www.classeditori.it/partnership>.
9) Nuovo accordo Agi-Xinhua su informazione economica, 2 luglio 2014, reperibile nel sito web <https://www.agi.it/estero/agichina/nuovo_accordo_agi-xinhua_su_informazione_economica-3235034/news/2014-07-02>.
10) Cfr. Eugenio Buzzetti, Agi, firmato accordo a Pechino con People’s Daily, 17 marzo 2016, reperibile nel sito web <https://www.agi.it/estero/agichina/agi_firmato_accordo_a_pechino_con_people_s_daily-3230657/news/2016-03-17>.
11) Cfr. Editoria: firmato in Cina nuovo accordo ANSA-Xinhua, nel sito web <https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2017/12/04/editoria-firmato-in-cina-nuovo-accordo-ansa-xinhua_4626578b-6d03-4740-8f91-10f81dfea8b0.html>.
12) Laura Harth, Così la macchina di propaganda cinese penetra nei media italiani, in Formiche, 9 aprile 2020, nel sito web <https://formiche.net/2020/01/cina-copasir-5g-propaganda>.
13) Delegazione cinese in visita in Fnsi: confronto su libertà, diritti e deontologia, 10 aprile 2019, nel sito web <https://www.fnsi.it/delegazione-cinese-in-visita-in-fnsi-confronto-su-liberta-diritti-e-deontologia>.
14) Cfr. Sarah Cook, Bejing’s Global Megaphone, in FreedomHouse, nel sito web <https://freedomhouse.org/report/special-report/2020/beijings-global-megaphone>.