di Silvia DeAscaniis
Sono recentemente stati annunciati i nomi dei vincitori del Premio Ratzinger 2018, un prestigioso riconoscimento istituito nel 2011 dalla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI che premia gli studiosi particolarmente distintisi nell’attività della ricerca scientifica di carattere teologico. Il riconoscimento sottolinea l’eredità culturale e spirituale di Joseph Ratzinger, fonte di ispirazione per molti progetti di studio e di dialogo con la cultura del nostro tempo che i premiati hanno dimostrato di coltivare e far fruttificare. Quest’anno sono stati insigniti del Premio la professoressa Marianne Schlosser, nata nel 1959, a Donauwörth, in Baviera, e l’architetto Mario Botta, nato nel 1943, a Mendrisio, in Svizzera.
La Schlosser è considerata una delle più profonde conoscitrici della teologia e della spiritualità sia della Patristica sia del Basso Medioevo, con particolare attenzione agli Ordini mendicanti, specializzatasi su san Bonaventura (1221-1274) e su santa Caterina da Siena (1347-1380), del primo pure traducendo in tedesco gran parte dell’Itinerarium mentis in Deum. La professoressa si è dedicata con spirito di servizio e passione alla ricerca teologica e all’insegnamento della teologia spirituale, cercando di rendere accessibili i tesori della storia della spiritualità cattolica anche ai laici e comunque a un pubblico più vasto dei soli specialisti.
L’opera di Botta, architetto e designer di fama internazionale, merita qualche considerazione specifica. Considerato una personalità eminente dell’arte ispirata dal cristianesimo, tra le sue opere vi sono la Cattedrale della Resurrezione di Évry a Parigi, la Concattedrale del Santo Volto a Torino, la Chiesa del Beato Odorico a Pordenone, nonché il Monastero dei Santi Apostoli Pietro e Andrea a Leopoli, in Ucraina.
Botta ha frequentato il liceo artistico a Milano e ha poi proseguito gli studi nell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dove ha conosciuto e lavorato con architetti come lo svizzero naturalizzato francese Le Corbusier (Charles-Édouard Jeanneret-Gris, 1887-1965) e lo statunitense Luis Kahn (1901-1974). È stato poi tra i fondatori dell’Accademia di Architettura di Mendrisio, che è parte dell’Università della Svizzera Italiana, dove tuttora insegna. Il suo lavoro ha abbracciato numerose tipologie edilizie quali scuole, banche, edifici amministrativi, biblioteche, musei e in particolare diversi importanti edifici di culto. Come recita il profilo predisposto dal Comitato Scientifico della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger per presentarne la candidatura a Papa Francesco, la sua architettura «[…] è concepita sia come arte capace di fondersi in maniera armoniosa con la natura, le culture e le storie dei territori, sia come testimone concreta dei vissuti storici e delle aspirazioni umane […] Un ruolo predominante è affidato alla luce, intesa come principio generatore degli spazi e metro per la definizione del tempo che scorre nelle diverse fasi del giorno, dei mesi o delle stagioni». In un’epoca in cui si rischiano l’oblio della dimensione spirituale e la disumanizzazione degli spazi urbani, le opere sacre di Botta costituiscono dunque «spazi mirabili per l’elevazione spirituale e la preghiera dell’assemblea cristiana». È del resto questa la motivazione che gli ha guadagnato il premio.
Nel discorso alla cerimonia di consegna, Papa Francesco ha ricordato che «in tutta la storia della Chiesa gli edifici sacri sono stati richiamo concreto a Dio e alle dimensioni dello spirito ovunque l’annuncio cristiano si è diffuso nel mondo; hanno espresso la fede della comunità credente, l’hanno accolta contribuendo a dar forma e ispirazione alla sua preghiera». L’impegno a creare spazi sacri nella città degli uomini è dunque di valore altissimo, e va riconosciuto e promosso.
Tutta l’opera di Botta prevede però una domanda originaria. È possibile, nel tempo della “perdita del centro”, dell’edonismo e dell’utilitarismo esprimere la bellezza e il senso del sacro nell’architettura? Secondo l’architetto svizzero sì, poiché in ogni tempo, e quindi anche nel nostro tempo storico, è necessaria l’arte sacra.
Dopo lo sconvolgimento del senso etico ed estetico operato dalle “avanguardie” artistiche, l’architettura deve infatti rispondere ad alcune domande preliminari: l’uomo di oggi ha ancora bisogno di uno spazio fisico dove pregare? Come va inteso nel nostro tempo storico uno spazio di preghiera? Dal canto proprio, Botta non ha dubbi sul fatto che permanga per l’architettura la possibilità e la necessità di realizzare in una forma e in uno spazio sacro il contesto capace di esprimere il rapporto con Dio a partire dalla nostra condizione storica.
«Io devo dire», ha avuto occasione di affermare l’architetto «che attraverso il sacro ho ritrovato i valori dell’architettura: l’idea di gravità, di limite, di soglia, l’idea della luce come generatrice dello spazio, cioè gli elementi fondativi del fatto architettonico, mi sono stati rivelati dallo spazio di culto in maniera molto più forte che non dagli altri». È dunque anche attraverso questi valori ritrovati che si può riscoprire la densità simbolica dell’edificio sacro. Ed è a questo livello che «la cultura cattolica arranca» non cogliendo l’opportunità di lasciar emergere la dimensione di trascendenza implicita nel fare umano, che senza di essa rimane convulso e disarticolato.
Sabato, 24 novembre 2018