L’Ordine dei giornalisti sospende per sei mesi il direttore dell’emittente cattolica per aver attaccato la relatrice delle unioni civili: secondo i censori il riferimento di padre Livio all’Apocalisse era un’offesa alla senatrice dem
La vera interpretazione delle Sacre Scritture ormai spetta all’Ordine dei Giornalisti che, rivendicando il proprio ruolo esegetico, condanna padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, a sei mesi di sospensione dall’albo dei pubblicisti.
Ritengono di aver accertato che, nella polemica seguita all’approvazione della legge sulle unioni civili, durante una rassegna stampa trasmessa dall’emittente cattolica il 3 febbraio 2016, la senatrice del Pd ispiratrice del provvedimento sia stata «definita come una prostituta» e che le sia stata augurata «seppure in un futuro non troppo vicino, la morte».
Sono convinti di averlo capito dalla frase seguente, pronunciata dal religioso: «Questa qui, Monica Cirinnà, mi sembra un po’ la donna del capitolo diciassettesimo dell’Apocalisse, la Babilonia, che adesso brinda con prosecco alla vittoria. Signora arriverà anche il funerale, stia tranquilla, glielo auguro il più lontano possibile, ma arriverà anche quello». Parole che avevano suscitato lo scandalo di alcuni benpensanti laici. Benché consapevoli che l’unica certezza è che ogni vita terrena è inevitabilmente destinata a concludersi con un decesso, non digeriscono che successivamente si vada al giudizio particolare. Sono verità di fede, che non è obbligatorio condividere a meno che non si appartenga alla Chiesa cattolica. Ma poiché la Cirinnà si dichiara credente, la coinvolgono. E si indigna. Così lei stessa invoca l’intervento dell’ Ordine.
Detto fatto. Dopo una settimana dalla messa in onda della trasmissione il consiglio di disciplina lombardo comunica a padre Fanzaga di aver aperto un procedimento nei suoi confronti per «verificare se via stata violazione delle norme deontologiche che presiedono la professione e in particolare, dell’ articolo 2 della stessa legge, comma l, per aver tenuto un comportamento lesivo della professione nell’inosservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui; dell’articolo 9 Codice Deontologico, “Tutela del diritto alla non discriminazione”, comma l, laddove “nell’esercitare il diritto-dovere di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali”».
Così come accadeva per la Santa Inquisizione, anche in questi casi l’ imputato può nominare un legale, ma la strategia scelta è quella di inviare, a titolo di memoria difensiva, due interviste rilasciate dallo stesso direttore di Radio Maria all’Huffington Post e all’Adnkronos oltre a un articolo di Avvenire, dove spiega che «non vi è stata nessuna intenzione di offendere o di discriminare» e si conferma «rispetto per la senatrice Cirinnà e per il ruolo istituzionale che ricopre».
Niente da fare. L’ 8 giugno lo puniscono, deliberando sei mesi di sospensione, sebbene distinguendo fra il profilo del sacerdote e quello del giornalista. Insomma, come prete può dire quello che vuole e non spetta a loro sindacarne l’operato. Ma come pubblicista è sottoposto al loro controllo. Paradossalmente, si tratta della stessa persona. E ancora più paradossalmente, nelle motivazioni della sentenza, si riporta l’ intero capitolo 17 dell’ Apocalisse.
Manca soltanto che decidano loro la data della fine del mondo e siamo a posto.
Il condannato ricorre dinanzi al Consiglio nazionale dell’Ordine e stavolta si fa assistere da due avvocati. Ma interviene perfino il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’ Appello di Milano per ribadire la colpevolezza. Così, il 15 dicembre scorso, la scomunica laica cade definitivamente sul sacerdote, il cui appello viene definitivamente respinto.
Si preparò così anche l’oscurantismo della costituzione civile del clero, che ai tempi della Rivoluzione francese obbligava i «preti refrattari» a rifugiarsi nella clandestinità.
Avevano scelto di obbedire prima all’autorità divina che a quella umana e ne dovettero pagare le conseguenze.
Capita anche agli atei miscredenti come Filippo Facci, ovviamente. Ma l’ accanimento ordinistico-giudiziario suscita dissenso anche all’interno del sindacato dei giornalisti. Una reazione sul caso del giornalista di Libero arriva dal gruppo fondato da Walter Tobagi, Stampa Democratica, che ieri in una nota ricordava che «usare i “tribunali” deontologici per censurare le idee è un grave errore, che porta solo acqua al mulino di chi dell’Ordine auspica l’abolizione. Le idee, tutte, si possono e anzi si debbono discutere e criticare. Proprio la legge istitutiva dell’ Ordine afferma che “è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica”».
Andrea Morigi
Da “Libero” del 21 giugno 2017. Foto da Blogosocial