Da La bianca Torre di Ecthelion del 11/04/2018. Foto da articolo
Il 19 aprile si chiuderà un pezzo di storia, addirittura di Novecento. Nella Cuba sempre orgogliosamente comunista non comanderà più un Castro. Il potere passerà nelle mani di Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez, il numero due del regime, assieme vicepresidente (dal 2013) e viceprimo ministro (dal 2012). Prima, dal 2009, era stato ministro dell’Istruzione superiore. Ma davvero il castrismo andrà in soffitta?
Nato nel 1960, ingegnere elettronico nel 1982 nell’Universidad Central “Marta Abreu” de Las Villas nella “mitica” Santa Clara, specialista delle radicomunicazioni nella difesa antiaerea dal 1982 al 1985, poi docente universitario, ha vissuto la stagione dell’interventismo militare cubano che eterodiresse movimenti terroristici e governi marxisti in America Latina e in Africa. Nel 1987 e nel 1989 operò infatti presso il governo sandinista del Nicaragua impegnato nella guerra ai Contras. Quindi, gradino dopo gradino, di organizzazione giovanile provinciale in struttura politica nazionale, nel 2003 è finalmente entrato nell’Ufficio politico del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba.
Di Díaz-Canel come erede del potere cubano si parla dal 24 febbraio 2013, quando Raúl Castro fu eletto presidente per il secondo mandato quinquennale e annunciò che sarebbe pure stato l’ultimo, scegliendo lui, lo stesso giorno, come vice destinato a succedergli in virtù delle sue doti ideologiche e organizzative.
Ora, la prima cosa che salta agli occhi è che il regime nazional-comunista cubano è dinastico. Come la Corea del Nord. Fidel Castro fino al ritiro nel 2008, poi il fratello Raúl e ora il delfino imposto agli apparti e al popolo liberi solo di applaudire. La seconda è che quando a Cuba si dice “elezione” si parla di forma, non di sostanza. A eleggere il presidente è l’Assemblea nazionale del potere popolare, il parlamento monocamerale che viene però designato dai cittadini in un sistema che ammette solo candidati senza partiti. I rivoluzionari cubani ne parlano con vanto, ma vuol dire che l’unico partito ammesso è quello comunista. Ebbene, giovedì della settimana ventura il parlamento “sceglierà” il nuovo presidente da un lista uninominale, ed è pure prevista l’unanimità. Chissà se chi si è scandalizzato per le percentuali bulgare delle rielezioni di Vladimir Putin in Russia e di Viktor Orbán in Ungheria si straccerà analogamente le vesti.
Ma il punto è cosa attendersi da un uomo cresciuto a pane e castrismo. È ciò che si chiede sul quotidiano The Hill John Caulfield, dal 2011 al 2014 direttore della U.S. Interests Section nell’ambasciata svizzera a Cuba (la rappresentanza diplomatica americana di allora), poi cofondatore, nel 2015 della Innovadores Foundation che a Greenwood, Connecticut, addestra giovani imprenditori cubani.
Alle spalle di Díaz-Canel resta infatti sempre la vecchia guardia, capitanata da Raúl Castro, il quale non sarà più presidente del Paese, ma rimarrà segretario del PC. E Castro jr. è l’uomo che, costretto dagli eventi (la scomparsa dell’URSS che pagava i conti del comunismo caraibico), ha concesso qualche piccola libertà, libertà con cui una piccola parte dei cubani si è improvvisata imprenditrice riuscendo a elevare il proprio tenore di vita (facile, visto il livello di partenza), ma libertà che poi, non appena il PC ha preso a considerare una minaccia i lavoratori non statali, ha bloccato. Scrive Caulfield che l’estate scorsa Raúl «si è assunto personalmente la responsabilità degli “errori” congelando la concessione della maggior parte delle licenze per nuove imprese e nuovi lavori in proprio». Toccherà a lui a essere il riformatore di Cuba in un contesto in cui «il partito ha rigettato qualsiasi sistema che possa generare capitale privato»? L’unico modo per salvare quel che resta del comunismo a Cuba è infatti imboccare la via cinese, ovvero sfruttare il mercato (degli altri) controllando rigidamente tutto e tutti. Ma bisogna essere capaci e disposti ad ammettere che l’unica cosa che in un regime comunista un po’ funziona è ciò che non è comunista. Secondo Caulfield, a Cuba di gente così non ce n’è moltissima.
Marco Respinti