Il Venezuela è una nazione che vive sulle “montagne russe”. È stato per molti anni sul podio dei principali produttori mondiali di greggio ma circa la metà della sua popolazione ha sempre vissuto in condizioni di povertà; è stato considerato un paradiso per miliardari e finanzieri di alto bordo ma oggi occupa il 176esimo posto (su 186 posizioni) nella classifica mondiale per libertà economica. Fra il 2004 e il 2008 ha raddoppiato il proprio PIL pro-capite ma oggi ¾ della popolazione soffre di malnutrizione, l’economia è ben oltre il collasso e la carta igienica è considerato un bene di lusso.
Caracas, sinonimo della Dolce Vita caraibica nei nostri ricordi, è una delle città più pericolose del mondo con un tasso di omicidi da far impallidire la Chicago di Al Capone. In tutto il paese nel 2015 si stimano fra i 18.000 e i 28.000 omicidi, un record per nazioni tecnicamente non in guerra.
Gli analisti sono concordi nel ritenere che il Venezuela sia destinato a diventare a breve uno stato fallito: di fatto lo è già. I titoli del debito pubblico sono da tempo spazzatura, l’attività estrattiva, che rappresenta il 95 % dell’export, è in calo del 16 % all’anno in un contesto internazionale di prezzi stracciati del barile, l’inflazione reale viaggia ben sopra al 1000 %, per il 2017 è stimata al 2200 %.
Questo processo degenerativo sembra aver raggiunto e superato il limite di sopportazione del popolo venezuelano e sta sfociando in una vera e propria rivolta sociale: manifestazioni di piazza sempre più partecipate hanno lasciato sul campo otto morti nelle ultime settimane, oltre a numerosi feriti e arrestati.
La Chiesa Cattolica venezuelana ha impegnato risorse al massimo livello per favorire il dialogo fra il Presidente Maduro – erede politico di Chávez ed epigono del “chavismo” – e l’opposizione sia politica che popolare, ma lo sforzo sembra essere stato vano. Il tavolo aperto nell’autunno 2016, favorito dall’Incontro tra Maduro e Papa Francesco in ottobre, è naufragato. A gennaio Mons. Diego Padròn, Presidente della Conferenza Episcopale Venezuelana e promotore del tavolo, ha dichiarato che il dialogo è fallito per mancanza di volontà delle parti di mantenere gli impegni ed ha manifestato il sospetto che il partito di governo del Presidente Maduro abbia semplicemente usato questo stratagemma per prendere tempo.
È la Cina, come abbiamo già visto con i porti della Grecia in bancarotta, ad approfittare dei saldi venezuelani per cessata attività: nel 2015 ha prestato al paese 15 miliardi di dollari ipotecandone gran parte degli assetti energetici, e il trend sembra destinato a continuare.
La comunità italo-venezuelana, nerbo dell’imprenditoria locale, dopo aver contribuito con generazioni di lavoratori ed imprenditori alla crescita del paese è oggi uno dei soggetti più colpiti: aziende confiscate, famigliari rapiti e uccisi, perdita di risparmi e pensioni. Molti cercano di fuggire e ritornare in Italia, ma in un paese dove il cibo per un ordinario pranzo di famiglia costa 6 volte lo stipendio mensile anche un semplice biglietto aereo è un sogno a disposizione di pochi.
Come è già accaduto con gli italiani di Argentina nella grande crisi del 1999-2002, per loro niente status di rifugiato, nessuna “accoglienza ed inclusione”, neppure un alberghetto pagato: ai tempi del multiculturalismo anche la patria sa essere matrigna.
Com’è potuto accadere? a chi è imputabile la responsabilità di quella che assomiglia sempre di più ad una catastrofe umanitaria?
Valter Maccantelli