Da “La bianca torre di Echtelion” dell’11 agosto 2017.
Sono i preti una delle prove più convincenti della santità della Chiesa Cattolica: se la Chiesa è sopravvissuta a loro più di duemila anni, significa che è davvero divina. Per parafrasare un pensiero famoso di san Vincenzo di Lerins (sec. V), Dio infatti certo clero lo dona, altro lo tollera, altro ancora lo infligge. Ma era così nelle premesse. Gesù non ha scelto superuomini; gli è bastato Pietro, pescatore incolto protagonista del primo, clamoroso voltafaccia della storia ecclesiastica, ma finito in Paradiso invece che impiccato perché, a differenza di Giuda, proruppe in lacrime davanti al suo Signore anziché disperarsi. Il segreto della Chiesa Cattolica, infatti, che fra simoniaci, adulteri, eresiarchi e scismatici tira avanti da venti secoli meglio di qualunque altra istituzione umana, è questo: la regge quell’altra faccia nascosta della Luna del suo essere che nessun altra istituzione umana possiede, e diverse le invidiano, che è la sua divinità. Dio certo clero lo dona, altro lo tollera, altro ancora lo infligge perché tutto trova armonia e correzione in Cristo, altrimenti sarebbe finita in vacca da tempo.
Questa sensazione, benedettamente non nuova, si fa certezza leggendo Corrosione. Combattere la corruzione nella Chiesa e nella società, il libro che il cardinal Peter K.A. Turkson ha scritto con Vittorio V. Alberti e che Rizzoli (pp. 217, €18,00) pubblica con prefazione nientemeno che di Papa Francesco. Monsignor Turkson, già arcivescovo di Cape Coast e presidente della Conferenza episcopale del Ghana, è il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace dal 2009; Alberti, filosofo, è officiale della Santa Sede nel Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale; e Papa Francesco non ha bisogno di presentazioni nemmeno per il più incallito dei miscredenti: è il Successore di Pietro che ha messo al centro due cose, la misericordia e la lotta alla corruzione proprio nella Chiesa. La misericordia perché è convinto che non basti più annunciare da maestrini la giustezza della dottrina per affascinare gli uomini che hanno gettato Gesù alle ortiche, bensì occorra perdonare molto a chi molto ha peccato perché ai cristiani è stato anzitutto fatto così da un Dio che non ha certo il braccino corto. E la lotta alla corruzione perché questo è, da sempre, il peccato pubblico che più avvelena la Chiesa ad intra e più squalifica l’annuncio cristiano ad extra. Le due cose, cioè, si tengono. «La nostra corruzione è la mondanità spirituale», scrive il Pontefice, «la tepidezza, l’ipocrisia, il trionfalismo, il far prevalere lo spirito del mondo sulle nostre vite, il senso di indifferenza». La bellezza del cristianesimo, persino la ricaduta materiale della fede che diviene cultura, arte e ingegno nella storia, «non è un accessorio cosmetico, ma qualcosa che pone al centro la persona umana perché essa possa alzare la testa contro tutte le ingiustizie».
Sbaglia chi nella lotta di Francesco alla corruzione del clero pensa di vedere i tratti di un Papa manettaro. Qui siamo alla Chiesa capace di riformarsi: come ai tempi enormi di Leone IX (santo), Gregorio VII (santo) o d’Innocenzo III; come con i grandi movimenti di rinnovamento nati fra i chiostri; come con la vera grande riforma cattolica dell’Occidente che precedette sia la rottura di Martin Lutero sia il Concilio di Trento. Ecco: un libro, quello di Turkson, forse su commissione, nel senso più bello dell’espressione, in cui si respira più Dante Alighieri che “Mani pulite”.
Marco Respinti