Da La bianca Torre di Ecthelion del 3/09/2018. Foto da articolo
Sarebbe una bugia dire che Papa Francesco non abbia spiazzato tutti, conservatori e progressisti, invitando i cattolici, sabato 29 settembre, giorno in cui la Chiesa Cattolica celebra la memoria liturgica degli arcangeli, a «[…] pregare il Santo Rosario ogni giorno, durante l’intero mese mariano di ottobre; e a unirsi così in comunione e in penitenza, come popolo di Dio, nel chiedere alla Santa Madre di Dio e a San Michele Arcangelo di proteggere la Chiesa dal diavolo, che sempre mira a dividerci da Dio e tra di noi». Lo ha fatto domandando di imitare «i mistici russi e i grandi santi di tutte le tradizioni», che «consigliavano, nei momenti di turbolenza spirituale, di proteggersi sotto il manto della Santa Madre di Dio pronunciando l’invocazione “Sub tuum praesídium”», per poi concludere la recita del Rosario con la preghiera scritta da Papa Leone XIII (1810-1903) appunto a san Michele.
L’intenzione di Papa Francesco, con il gesto del 29 settembre, è quella d’impetrare dal Cielo la grazia divina di preservare la Chiesa «[…] dagli attacchi del maligno, il grande accusatore, e renderla allo stesso tempo sempre più consapevole delle colpe, degli errori, degli abusi commessi nel presente e nel passato, e impegnata a combattere senza nessuna esitazione affinché il male non prevalga». Infatti il diavolo, dice il Libro di Giobbe, al capitolo 1, versetto 7, «[…] gira per il mondo cercando come accusare».
Nel 1884, mentre celebrava la Messa, Leone XIII ebbe la visione dell’attacco scatenato dal diavolo contro la Chiesa. Fu per questo che scrisse la preghiera all’arcangelo Michele da recitarsi al termine di ogni Messa, cosa che è stata fatta fino alla Riforma liturgica e restando, da allora in poi, un efficace esorcismo di uso personale e quotidiano.
Quanto al Sub tuum praesidium, è la preghiera mariana più antica. Risale al secolo III ed è stata rinvenuta ad Alessandria d’Egitto nel 1917, scritta su un papiro egiziano, copto, acquistato nel 1917 dalla John Rylands Library di Manchester e pubblicato per la prima volta nel 1938. Lo scrittore cattolico Vittorio Messori ama descriverla come la madre di tutta l’apologetica, la preghiera apologetica per eccellenza: contiene l’affermazione della maternità divina di Maria, un dogma sancito dopo, nel 431, dal Concilio di Efeso, e (nella versione del rito ambrosiano, quella più vicina all’originale) anche un’allusione all’Immacolata Concezione, dogma proclamato solo moltissimo dopo, nel 1854, ma evidentemente due verità di fede professate dai cristiani da sempre.
Ora, questa preghiera originaria ha tra i propri amatori un personaggio illustre, lo scrittore e filologo inglese J.R.R. Tolkien (1892-1973). In una lettera datata 8 gennaio 1944 e indirizzata al figlio (e futuro erede letterario) Christopher, esordendo con un «ricordati il tuo angelo custode», Tolkien scriveva: «Se non lo fai già, prendi l’abitudine alle “preghiere”. Io le uso molto (in latino): il Gloria Patri, il Gloria in Excelsis, il Laudate Dominum, il salmo domenicale Laudate Pueri Dominum (al quale sono particolarmente affezionato), e il Magnificat. E anche la Litania di Loretto [sic] (con la preghiera Sub tuum prasidium). Se le conosci a memoria, non avrai mai bisogno di altre parole di gioia. È anche una cosa buona e ammirevole conoscere a memoria il Canone della Messa, cosi lo puoi recitare nel cuore se le circostanze ti impediscono di sentire la Messa».
Tolkien amava molto la preghiera, e molto le preghiere cattoliche canoniche. Le amava tanto da farci pregare anche gli Elfi della sua narrativa, detta, non a caso, “realismo fantastico”. Premesso che tutta la costruzione tolkieniana è definibile come una “composizione di luogo” atta a dare “cittadinanza” alle lingue che egli anzitutto inventò (cioè personaggi credibili che le parlassero credibilmente in luoghi credibili e ricchi di una storia credibile), assume significato particolare il fatto che il cattolicissimo Tolkien volle tradurre in elfico le preghiere cattoliche fondamentali. Tra queste appunto il Sub tuum praesidium, tradotto in Quenya, il “latino elfico”, negli anni 1950 con il titolo Ortírielyanna. Nel 2002 la preghiera è stata pubblicata in edizione critica – con il placet di Christopher Tolkien – sul n. 44 del periodico statunitense di filologia tolkieniana Vinyar Tengwar dagli studiosi Patrick H. Wynne, Arden R. Smith e Carl F. Hostetter. Non solo. Tolkien tradusse in tutto cinque preghiere cattoliche: il Pater Noster, l’Ave Maria, il Gloria Patri, le Litanie lauretane e appunto il Sub Tuum Praesidium, tutte pubblicate criticamente su Vinyar Tengwar nei numeri 43 e (il citato) 44.
Ora, al padre gesuita Robert Murray (1925-2018) ‒ l’amico che ebbe modo di leggere parte della sua narrativa prima che venisse pubblicata ‒ Tolkien scrisse, con parole più che note: «Ovviamente Il Signore degli Anelli è un’opera fondamentalmente religiosa e cattolica; all’inizio lo è stata inconsciamente, ma lo è diventata consapevolmente nella revisione. È per questo motivo che non ho inserito, o ho eliminato, praticamente ogni riferimento a qualsiasi tipo di “religione”, culto o pratica religiosa, nel mondo immaginario. L’elemento religioso e infatti insito nella storia e nel simbolismo».
Un po’ per rispetto, un po’ per evitare incongruenze (sincretistiche), la narrativa tolkieniana sembra non parlare di fede. Perché allora dunque tradurre in elfico le preghiere della Tradizione cattolica? Tolkien non ce lo ha lasciato scritto, ma è lecito immaginarlo. Se la sua opera narrativa è intrinsecamente cristiana, e dunque a modo proprio esplicitamente cattolica, il bene e il male che vi si scontrano sono gli stessi della vita reale. Gesù e Satana.
Nella famosa conferenza Sulle fiabe, del 1939, Tolkien afferma che la narrazione fantastica è «un lontano barlume o un’eco dell’evangelium nel mondo reale», aggiungendo subito che «l’uso di questa parola fa intravedere la mia conclusione». Questa: «I Vangeli contengono una favola o meglio una vicenda di un genere più ampio che include l’intera essenza delle fiabe. I Vangeli contengono molte meraviglie, di un’artisticità particolare, belle e commoventi: “mitiche” nel loro significato perfetto, in sé conchiuso: e tra le meraviglie c’è l’eucatastrofe massima e più completa che si possa concepire. Solo che questa vicenda ha penetrato di sé la Storia e il mondo primario; il desiderio e l’anelito alla subcreazione [cioè la creazione artistica] sono stati elevati al compimento della Creazione. La nascita del Cristo è l’eucatastrofe della storia dell’Uomo; la Resurrezione, l’eucatastrofe della storia dell’Incarnazione». Con «eucatastrofe» Tolkien intende la «[…] “buona catastrofe”, l’improvviso “capovolgimento” gioioso» della storia nel momento più buio quando tutto sembrerebbe invece perduto. La creazione narrativa, dunque, «[…] volge lo sguardo in avanti (oppure all’indietro: la direzione in questo caso è irrilevante), verso la Grande Eucatastrofe». Ebbene, rispetto alla narrazione fantastica, «la gioia cristiana, la Gloria, è dello stesso genere», ma il punto “di non ritorno” è che essa è «[…] preminentemente (infinitamente, se la nostra capacità non fosse finita) alta e gioiosa», e questo perché «[…] questa vicenda è suprema; ed è vera». E quindi «Dio è il Signore, degli angeli, degli uomini – e degli elfi».
Ne Il Signore degli Anelli, l’Oscuro Nemico ‒ il nemico della natura umana, direbbe sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) ‒ si chiama Sauron, emissario storico di Morgoth. In una lettera a Milton Waldman, editor della Collins, scritta probabilmente verso la fine del 1951, Tolkien annota: «Sotto Sauron sorge una nuova religione, e l’adorazione dell’Oscurità con il suo tempio. I Fedeli vengono perseguitati e sacrificati». Dunque, «Ortírielyanna rucimme, Aina Eruontari, alalye nattira arca·ndemmar sangiessemman ono alye eterúna me illume ilya raxellor alcarin Vénde ar manaquenta»: sì, anche gli Elfi pregano la Madre celeste affinché ponga la Creazione sotto il proprio mantello materno, anche gli Elfi pregano con il Papa per proteggere la Chiesa da Sauron e dal suo padrone “antico” Morgoth.