Da La bianca Torre di Ecthelion del 16/10/2017. Foto da articolo
Sembra un personaggio da film, ma Lev Nussimbaum è esistito realmente. Ebreo askhenazita azero di origini russe, nasce in una facoltosa famiglia di petrolieri nel 1905 a Baku, in Azerbaijan. Allevato da una governante tedesca, studia nella facoltà di Orientalistica della Friedrich-Wilhelms-Universität di Berlino. Ma l’islam lo ammalia e così, il 13 agosto 1922, si converte, 17enne, nell’ambasciata turca della capitale tedesca. Un ebreo islamico, insomma, prima delle sue molte bizzarrie.
Si prende tanto sul serio da cambiare looke nome: ora è Essad Bey, il “principe leone” musulmano (Lev in russo e Essad o Assad in arabo significano “leone”), fascinoso e colto, introdotto nelle cancellerie occidentali. Poliglotta, scrive molto (anche con lo pseudonimo di Kurban Said), diventando un autore di grido nell’Italia fascista (alcuni suoi libri escono solo in italiano) e nella Germania nazionalsocialista che ne apprezzano l’anticomunismo implacabile. Del resto è un amore ricambiato, visto che nel Duce e nel Führer l’ebreo musulmano vede l’ultima speranza della civiltà. È, questa, la seconda delle sue bizzarrie: se Roma e Berlino non nascondevano il filoislamismo, lui aveva pur sempre il medesimo sangue di tanti giudei perseguitati. Infatti, quando se ne scopre la vera identità, Essad Bey cade in disgrazia. Fugge dalla Germania hitleriana e da ultimo ripara, terza bizzarria, nell’Italia mussoliniana dove (la bizzarria vera è questa) vive al confino dorato a Positano fino alla morte, nel 1942.
Quarta bizzarria, l’ebreo musulmano filofascista che detestava i rossi era figlio di Bertha Slutzkin, morta suicida come eroina dell’Unione Sovietica: aveva sposato il ricco padre di Essad Bey, Abraham Nussimbaum (morto poi a Treblinka), solo per infiltrarsi tra i borghesi e preparane la disfatta; scoperta, si era uccisa. Si era persino legata di amicizia al giovane Iosif Vissarionovič Džugašvili, il mostro sovietico che Essad Bey poi biograferà in Stalin. La giovinezza del “piccolo padre” sovietico raccontata da un amico d’infanzia, uscito nel 1932 a New York con il titolo Stalin: The Career of a Fanatic, divenuto subito un best-seller e tradotto immediatamente in italiano dai Fratelli Treves di Milano semplicemente come Stalin.
Oggi i libri di questo strano tipo sono guardati dall’alto in basso da un’accademia che lo considera zero per motivi politici (e dall’Azerbaijan che sfida il mondo della critica letteraria negando che il Kurban Said islamico di cui è entusiasta sia la stessa persona dell’Essad Bey ebreo filofascista di cui si vergogna, imitato un po’ anche dalla Germania), ma è innegabile che la sua produzione sia un pezzo di storia non obliterabile come si vorrebbero forse obliterare i tombini delle fogne di Roma perché li pose il Duce. Importante dunque che la Oaks Editrice ne ridia alle stampe la succitata vecchia traduzione della biografia di Stalin, corredata da un intrigante saggio introduttivo di Carlo Saccone, professore associato di Lingua e letteratura persiana nell’Università di Bologna. Perché, nonostante la biografia guascona e molta furbizia, le analisi di Essad Bey sul comunismo sovietico, sulle vie politiche del petrolio nel Caucaso o sull’islam restano serie.
All’inizio della sua biografia del “piccolo padre” sovietico c’è un distico significativo: «Ignazio di Loiola cominciò come guerriero e come predone, Stalin come pio alunno del seminario georgiano». Entrambi si mutarono nell’esatto contrario e il secondo divenne un “gesuita” della Rivoluzione. Sottile se serviva e rozzo se pagava, lucido e spietato, con lui in Russia giunse al potere il peggio del bolscevismo, e questo dalle pagine di Essad Bey è chiarissimo; ma altrettanto chiaro è che Stalin non ne è per nulla una perversione, bensì il distillato più puro del comunismo. «La mediocrità, il bolscevismo genuino, rozzo, grossolano, ottuso, arrivò inosservatamente ad afferrare il timone», scrive Essad Bey: «esso venerava in Stalin la sua più alta incarnazione, l’uomo della sua carne e del suo sangue, il bolscevico pratico e il cospiratore grossolano».
C’è persino, nel bizzarro “principe musulmano ebreo”, un’eco tanto inconsapevole quanto importante dello storico svizzero della cultura Gonzague de Reynold che ricorda come il destino dell’Europa, classica prima e cristiana poi, sia il confronto continuo ed estenuante con le mille pressioni dell’Asia, dai persiani all’islam. Essad Bey sottolinea infatti che «Stalin raggiunse il potere come simbolo della maggioranza asiatica» e «nella dittatura egli vide l’unica salvezza della rivoluzione o, meglio ancora, l’unica salvezza dell’imperialismo asiatico e dispotico che riteneva assolutamente adatto per la rivoluzione». Curioso come tutto torni anche nell’Europa di oggi, che è un fantasma, di fronte a un’Asia turgida invece di tentazioni ricorrenti.
Marco Respinti