di Silvia De Ascaniis
Nel 2012, l’Organizzazione Mondiale del Turismo ha annunciato che sono più di un miliardo le persone che varcano ogni anno i confini del proprio Paese non per lavoro o per studio.
Il turismo (l’etimologia aiuta) nasce come un’esperienza riservata a pochi, i rampolli delle famiglie nobili del secolo XVII, che partivano per il “Grand Tour” ‒ appunto ‒ con obiettivi di formazione culturale e di crescita personale, per poi diventare, nel secolo XX, una possibilità per molti, grazie allo sviluppo dei mezzi di trasporto e al miglioramento della qualità della vita media in Occidente. Oggi il turismo rappresenta uno dei settori economici più importanti, fornendo un contributo al prodotto interno lordo mondiale del 10,2%, mentre le previsioni di crescita a 10 anni sono del 3,9% annuo, come documentato nel 2017 dal World Travel & Tourism Council.
Qualunque sia il motore che spinge a oltrepassare l’orizzonte noto, per tutti il viaggio costituisce un tempo straordinario nel senso etimologico di tempo che “rompe” – e permette di cambiare, auspicabilmente di migliorare – l’ordinario. Dice la Scrittura: «Chi ha viaggiato conosce molte cose,/ chi ha molta esperienza parlerà con intelligenza» (Sir 34, 9).
Se si viaggia per piacere, poi, il viaggio diventa anche il tempo della libertà: libertà da obblighi quotidiani e, grazie a questo, libertà per coltivare i propri interessi. La costituzione pastorale Gaudium et spes (1965) del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) individua nella possibilità di coltivare lo spirito e fortificare la salute dell’anima e del corpo l’obiettivo più genuino del tempo libero, anche «mediante viaggi in altri paesi (turismo), con i quali si affina lo spirito dell’uomo, e gli uomini si arricchiscono con la reciproca conoscenza» (n. 61).
Il turismo è, in effetti, un’esperienza culturale e un’opportunità di crescita, sia in sé sia rispetto alle destinazioni. Se considerato in sé, ovvero come movimento pianificato entro uno spazio e un tempo, è metafora della vita umana: ogni uomo è un pellegrino – un homo viator – che cammina verso la patria celeste. Se considerato rispetto alle destinazioni, costituisce un’intensa, perlopiù informale, esperienza di apprendimento, in quanto promuove la comprensione reciproca e rinforza il senso di appartenenza alla propria tradizione culturale. Un turista ha la possibilità d’incontrare diverse comunità umane con i rispettivi costumi, storia e stili di vita: un incontro che facilita una più profonda comprensione di sé, riducendo le distanze tra gli uomini.
I turisti in particolare, e coloro che si spostano dal proprio contesto ordinario in generale, hanno bisogni spirituali e pastorali specifici, dovuti alle speciali circostanze in cui si trovano a vivere. Nonostante possano essere particolarmente ardue per alcuni – si pensi ai migranti e agli esuli ‒, tali circostanze rappresentano anche un’opportunità di crescita. Con la lettera apostolica Humanam progressionem del 2016, Papa Francesco ha stabilito il nuovo Dicastero per la promozione dello Sviluppo Umano Integrale che dal 1° gennaio 2017 ha assorbito anche il Consiglio Pontificio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Lo aveva istituito Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005) nel 1988 con la costituzione apostolica Pastor Bonus come strumento che «si impegna affinché i viaggi intrapresi per motivi di pietà o di studio o di svago favoriscano la formazione morale e religiosa dei fedeli» (art. 151). Come segno di interesse per il turismo, san Giovanni Paolo II ha sottoscritto sei messaggi nella Giornata Mondiale del Turismo negli anni 1982 e dal 2000 al 2004.
Il turismo rappresenta dunque un’opportunità per la Chiesa di annunciare il proprio messaggio e promuovere l’educazione morale e religiosa, soprattutto se si considera che migliaia di persone ogni giorno viaggiano per visitare siti d’interesse culturale, la maggior parte dei quali è patrimonio sacro della tradizione cristiana, quindi strada maestra verso la bellezza.